Chissà se i 5Stelle si rendono conto del surplus di responsabilità che grava sulle loro spalle con la rapida e forse irreversibile dissoluzione del Pd renziano. A giudicare dalle loro spensierate (nel senso di assenza di pensiero) reazioni alla catastrofe politica, etica e mediatica del Giglio Magico sul caso banche, si direbbe di no. L ‘ esultanza per le disgrazie altrui è comprensibile: siamo in campagna elettorale. Ma gioire non basta, se contemporaneamente non si dà subito agli elettori in fuga dal Pd un valido motivo per votare 5Stelle. Conosciamo l ‘ obiezione: ma noi abbiamo rinunciato a 50 milioni di finanziamenti pubblici, ci siano ridotti diarie e indennità per devolvere quasi 100 milioni alle piccole imprese, abbiamo proposto questo e votato o impedito quest ‘ altro, non rubiamo, abbiamo un programma meraviglioso sul web, decidiamo i candidati online, Di Maio presenterà la squadra di governo prima delle elezioni ecc. Ma tutto questo non basta più. Se sono veri i sondaggi che danno il Pd prossimo al 20%, il M5S vicino al 30, FI e la Lega a contendersi la terza piazza attorno al 15, i 5Stelle non sono più soltanto il primo partito, ma molto di più. Col vuoto che c ‘ è dietro di loro, ora saranno guardati con grande attenzione da tutti gli italiani (perlopiù non ” gr i ll i n i ” ) che non vogliono ritrovarsi al governo B.&C. E visti come il primo ” voto utile ” per risparmiare all ‘ Italia il ritorno agli anni più bui della storia repubblicana. Cos ‘ ha da dire Luigi Di Maio a questi milioni di italiani di centrosinistra che fino all ‘ altroieri mai avrebbero immaginato di sperare nei 5Stelle e ora vi si vedono costretti da un ‘ evoluzione politica così rapida e inaspettata? Il suo tour nel Lombardo-Veneto ha dato segnali contraddittori e talvolta preoccupanti. Almeno nella proiezione mediatica, che poi è l ‘ unica che conta, perché è quella che si vede a occhio nudo. Prima la promessa di non cancellare gli 80 euro del governo Renzi – misura demagogica e ben poco produttiva in rapporto ai suoi altissimi costi – in totale contraddizione con anni di campagne contrarie. Poi il gran casino sui tagli alle ” p e n s i oni d ‘ oro ” , cioè superiori ai 2.500 euro netti al mese. Infine l ‘ a p oteosi della confusione sul referendum pro o contro l ‘ euro: un giorno si fa, un altro non si fa più, oggi si usa per minacciare l ‘ E uropa e riportarla a più miti consigli (sai che paura), domani magari si fa e Di Maio vota per l ‘ Italexit. Anche qui conosciamo l ‘ obiezione: con tutte le buone idee che abbiamo, dal reddito di cittadinanza alle leggi anti-prescrizione e anti-corruzione, i giornalisti cattivi ci chiedono sempre dell ‘ euro. Ora, che i giornalisti siano cattivi è normale. E che usino due pesi e due misure con i 5Stelle e con gli altri partiti non è normale, ma è stranoto. Nell ‘ ultima settimana i giornaloni hanno dedicato più titoli alle disavventure di ” Spelacchio ” , l ‘ albero di Natale del Comune di Roma in piazza Venezia (9 il C or r ie r e , 8 il Messaggero , 7 la Repubblica ), che alle intercettazioni del boss Graviano su B. e le stragi o alla requisitoria dei pm al processo sulla Trattativa. Per non parlare dei tg. Ma questa è l ‘” informazione ” che passa il convento e forma l ‘ o p in i on e pubblica, e bisogna farci i conti. Possibilmente senza fornirle argomenti polemici gratis. Cosa che invece Di Maio fa spesso e volentieri, e non per colpa della stampa, ma sua. Eppure non è difficile selezionare i punti programmatici sui quali insistere e quelli da accantonare. Tantopiù che, dopo le elezioni, dovrà trovare o almeno cercare qualche partner in Parlamento per tentare di avere la maggioranza. Se non dice prima del voto con chi vuole governare, non è colpa sua, ma del Rosatellum, che istiga i partiti a formare finte alleanze prima del voto per poi ribaltarle l ‘ indomani. Ma l ‘ idea di ricevere l ‘ incarico da Mattarella e presentarsi alle Camere per vedere ” chi ci sta ” è roba da fumetti per ragazzi: se ci starà qualcuno, o non ci starà nessuno, dipenderà dalle cose che Di Maio dirà di voler fare. Se ne dirà alcune, potrebbero starci la Lega e FdI (nel qual caso, auguri con una delegazione parlamentare eletta in gran parte nel Centro-Sud). Se ne dirà altre, potrebbe starci la sinistra di Liberi e Uguali e chissà, magari un pezzo del Pd (sempreché si sia liberato di Renzi). Specie se avrà ministri di quell ‘ area. Noi continuiamo a pensare che l ‘ interlocutore naturale del M5S sia la sinistra di Grasso & C. (a patto che abbia voti e seggi a sufficienza): sia per la disponibilità espressa da Bersani, sia per le sintonie già emerse su diversi punti, a partire dalle politiche sociali e del lavoro. Se poi Di Maio uscisse finalmente dalla lunga ambiguità pentastellata su temi cruciali come l ‘ evasione fiscale e l ‘ economia in nero, roba da 200 miliardi al l ‘ anno, e dicesse qualcosa di chiaro su nodi irrisolti dei conflitti d ‘ interessi e dei rapporti politica-affari (che stanno dannando pure i Renzi boys), potrebbe parlare credibilmente non solo con Grasso e Bersani, ma anche con i tanti elettori pronti a tutto pur di non farsi governare da B., anche a votare 5Stelle. Se quella che ora pare una mission impossible d i v e n t erà possibile dipenderà in gran parte da Di Maio: se metterà giù una lista di dieci cose concrete e fattibili, affidando al libro dei sogni (o degli incubi) quelle impraticabili (il referendum sul l ‘ euro, se è consultivo, non serve a nulla e attira solo speculazione sull ‘ Italia; se è effettivo, è vietato dalla Costituzione). Per conquistare astenuti e pidini in fuga, non c ‘ è bisogno di indossare il doppiopetto e andare in giro a rassicurare l ‘ e s t ab l i s h m en t rinunciando al proprio bagaglio di idee e proposte ” a nti- sis tem a ” . Basta spiegare chiaramente come si intende ribaltare o almeno riformare profondamente un sistema che nessuno – salvo i ladri – vuole conservare.
Il Fatto Quotidiano – MARCO TRAVAGLIO – 22/12/2017 pg. 1.