A lezione di filosofia nel boudoir, il vortice «scandaloso» di Sade

Li asciuga e rende fluida la scrittura scenica, senza eliminare il marchio impresso da oltre due secoli a quei dialoghi libertini. Con una pulizia geometrica, Fabio Condemi restituisce La filosofia nel boudoir lasciando scorrere lo scandaloso linguaggio sadiano in quel suo vortice che tutto sembra inghiottire. E annullare, nel dualismo liberazione/indottrinamento di Eugénie, quindicenne da iniziare al sesso, o meglio strumento drammaturgico attraverso il quale interrogarsi su regole e morale e, tout court, sui limiti della ricerca del piacere (dolore e crimine compresi). Fresco di debutto alla Biennale Teatro, Fabio Condemi, giovane regista dedito alla densità di testi scomodi – Bestia da stile di Pasolini e Jakob von Gunten di Walser – prende in mano le parole estreme di Sade per interrogarsi sulla natura umana, la più profonda e inesprimibile. A partire dall’irrimediabile decadenza dell’essere umano, espressa dal botta-risposta tra Ercole e Atlante versificato da Leopardi e innestato in forma di prologo sui pannelli mobili che subito dopo delineeranno lo spazio del boudoir, dentro al quale trionfa la demolizione delle certezze illuministe a opera della Rivoluzione dell’89.

NELL’AREA SCENICA del Teatro India, il disturbante dispositivo messo a punto da Condemi si spande fino al suo riempimento, procedendo su cinque moduli-lezioni di iniziazione alle pratiche di madame Saintange (Elena Rivoltini) e Dolmancé (Gabriele Portoghese). E l’educanda Eugenié (Carolina Ellero) esegue. La vena ironica che attraversa l’intera partitura si acutizza nelle parossistiche descrizioni degli atti sessuali, nell’antinatalismo, nella compiaciuta blasfemia, mentre si teorizza l’ateismo si impreca dio e si osanna il diavolo. Ancora e sempre bulimico e contradditorio Sade. Da bruciare?

 

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