Non potrebbe essere più contento Matteo Salvini. Raggiante si allarga fino ad affermare che «la giustizia italiana funziona». Non gli mancano i motivi di soddisfazione, politici oltre che giudiziari. «Non sarò più solo», gongola ma senza allargarsi fino alla chiamata in (eventuale) correità dei suoi ex compagni di governo. La responsabilità è di tutti ma il merito, per quella parte di Paese che considera il blocco della nave Gregoretti un titolo di merito, deve restare solo suo. L’avvocata Giulia Bongiorno, reduce dall’incidente della lastra capitombolatale addosso, è invece sobria: «Siamo moderatamente soddisfatti, allarghiamo la visuale». In realtà il colpaccio lo ha fatto lei. La convocazione del premier e dei ministri del governo gialloverde, Luigi Di Maio, Danilo Toninelli e Elisabetta Trenta, era prevedibile, tanto che la difesa non la aveva neppure chiesta. La sorpresa è che dopo di loro arriverà anche Luciana Lamorgese, in questo caso su richiesta della difesa accolta dalla Corte. Dal punto di vista politico, oltre che giudiziario, si tratta di qualcosa in più di un semplice allargamento della visuale.
La testimonianza di Conte e dei ministri pentastellati sommata alla richiesta d’archiviazione avanzata dalla procura, dovrebbe permettere, nel progetto di Salvini, non solo di dimostrare la responsabilità collettiva delle decisioni ma anche di trasferire la vicenda dal piano penale a quello politico. La presidente dei senatori forzisti Anna Maria Bernini coglie al volo il punto saliente: «Il ritardo nello sbarco dei migranti fu una legittima scelta politica». Con la richiesta di ascoltare l’attuale ministra degli Interni la difesa e il capo leghista vogliono andare oltre, dimostrando che le cose nel concreto non sono mutate con il cambio di governo. Le navi restano ancora all’àncora per giorni prima che i migranti vengano fatti sbarcare, come del resto hanno più volte denunciato le Ong. Se il colpo andrà a segno, Salvini potrà non solo sbandierare la propria linea come giusta e adottata in realtà anche dal governo successivo ma rivestire anche i panni del martire, messo all’indice per pura ipocrisia.
Quanto l’eventuale vittoria politico-processuale possa pesare sul quadro politico generale è oggi molto incerto. L’immigrazione è scivolata in fondo alla lista delle paure e dei fantasmi per molti italiani che pure avevano votato Lega, rimpiazzata dal ben più concreto Covid. Conte però rischia di uscire dalla vicenda quanto meno molto ammaccato. Dove la partita potrebbe rivelarsi fondamentale è però all’interno della Lega. L’attacco di Giorgetti, che di fatto propone una sterzata complessiva della strategia politica, uno spostamento al centro che un tempo, all’epoca dei veri partiti, sarebbe stato degno di un congresso, non è casuale. Nella Lega è iniziato un assedio alla ledership di Salvini che richiede sì tempi lunghi ma è inevitabile senza un colpo di reni, o un colpo di fortuna, tali da riportare in auge il «capitano» in picchiata.
Se il golpe dei nordici, pragmatici e ben lontani dalla salviniana guerra all’Europa, riuscisse per il governo sarebbe una pessima notizia. Di fronte a una Lega moderata, che mettesse sul tavolo la propria disponibilità a un governo di unità nazionale, o comunque con il Pd, per fronteggiare la crisi e gestire il Recovery, la maggioranza gliallorossa avrebbe probabilmente i giorni contati. Nella maggioranza, infatti, il clima è tornato pessimo. Lontano dalle luci della ribalta e dalle dichiarazioni ufficiali, nel Pd i toni critici sono tornati quasi striduli e la decisione di Conte di voler creare l’ennesimo comitato per gestire i fondi del Next Generation Eu ha portato l’irritazione alle stelle. La stessa ipotesi di un rimpasto di portata tale da profilarsi in realtà come un nuovo governo, basato su equilibri diversi e con Nicola Zingaretti all’interno, sembra già essersi arenata sulle resistenze del premier, che mira in realtà a non cambiare niente.
La forza di Giuseppe Conte è oggi tutta nell’assenza di alternative, la quale deriva a propria volta dalla presenza di Salvini al vertice dell’opposizione. Se il leghista uscirà politicamente vincente dal processo di Catania, Conte farà certo una pessima figura. Ma politicamente avrà forse schivato una minaccia.