di Pierluigi Piccini
Abbiamo appreso dalla stampa la volontà, non abbiamo capito bene di chi e in base a quale progetto, di trasferire il museo dell’OPA al Santa Maria della Scala. Ennesima conferma, ammesso che ce ne fosse stato bisogno, da parte degli organizzatori del convegno che continuano a considerare l’Antico Spedale uno spazio vuoto, senza una propria identità e vocazione semplicemente da riempire. Basterebbe ascoltarlo, come hanno fatto nel passato e di recenti alcuni storici dell’arte e il SMS ci direbbe come operare. Ci direbbe che bisogna saper dialogare con lo spazio, l’architettura, la storia dell’uomo: ospedale, asilo, ricovero, economia della città, arte che solo in quel luogo diventa un tutt’uno, luogo di cura e di cittadinanza. Ma altre sono le logiche che muovono chi momentaneamente ha in mano le decisioni: uno spazio da inzeppare pronto a ricevere chiunque porti denari per contro nessun progetto, nessuna capacità di attivare risorse nazionali e internazionali, nessuna reale abilità ad esercitare il ruolo che spetta alla committenza. E allora ecco la maldestra idea di spostarci il Museo dell’Opera della Metropolitana come se anche per questo non vigessero le stesse opzione del Santa Maria della Scala. L’OPA è legata strutturalmente al Duomo ne è un prolungamento fisico, come spazialmente è nella memoria collettiva e come lo è il mai realizzato Duomo Nuovo. Come non capire che qualsiasi intervento futuro, non può non tener conto di questa fondamentale caratteristica. Il Duomo e il Santa Maria hanno svolto ruoli e funzioni diverse che non possono essere annullate dall’architetto di turno o dal semplice calcolo economico dettato dall’”astuto” del momento. E poi anche se dovessimo tener conto del parametro monetario, cosa apporterebbe in più il trasferimento del museo del Duomo? Nessun valore aggiunto né economico, né culturale, risistemerebbe solo l’esistente che non giustifica neppure l’ipotesi di fare delle aule didattiche nell’edificio liberato dal trasferimento. Cosa diversa se come aveva fino a poco tempo fa richiesto l’OPA si proseguisse nella identificazione di un nuovo museo (Firenze, Pisa) negli spazi del Monna Agnese in continuazione con il Duomo/Duomo Nuovo. Con un Santa Maria che finalmente potrebbe diventare quel centro culturale di cui ha parlato e scritto Brandi, fra l’altro ci risulterebbe anche che l’attuale Ministro alla Cultura non avrebbe nulla in contrario a spostarci la Pinacoteca Nazionale di Siena. Ma per fare tutto ciò ci vorrebbe sensibilità, tempo e un approccio scientifico nella lettura del passato e nella costruzione del futuro che sembra lontano dall’essere presente. Inoltre smettiamola con i ricatti economici, domanda: quante richieste ha fatto il Comune di Siena per ottenere dei finanziamenti pubblici? Quanti progetti ha pronti, non solo per il Santa Maria della Scala, per avanzare istanze in ambito nazionale ed europeo?
Ma non è finita qui si favoleggia di una scuola per il restauro promossa dalla stessa Opera della Metropolitana. Orbene avete idea di cosa significa oggi una scuola di restauro con la legislazione vigente. Invito chi l’ha proposta a verificare un po’ di questioni la prima per iscriversi all’elenco ministeriale c’è bisogno di una laurea magistrale LMR D2 e di aver frequentato una scuola di specializzazione. Sapendo che l’albo ministeriale riconosce soltanto alcuni centri di specializzazione come l’Opificio delle Pietre Dure, l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro e l’Istituto Centrale par la patologia degli archivi e del libro. Bel problema! Almeno che non si voglia fare dei corsi per amatori per mettere qualche medaglietta sul petto dell’amministratore di turno nella consapevolezza che chi frequenterà questi insegnamenti quasi sicuramente non troverà lavoro. Mi rimane un’ultima domanda da fare al signor Prefetto, ma la presunta scuola del restauro fa parte delle finalità legate alla gestione del Museo dell’OPA?