- All’inizio del primo decennio degli anni Novanta circola un disagio che si modula su irritazione, sfiducia e persino rabbia. Le condizioni di vita sono giudicate insoddisfacenti: il 34% ritiene che, rispetto a cinque anni prima, siano peggiorate, a fronte del 29% che le ritiene migliorate.
- Fideismo e sfiducia si mescolano in uno strano impasto. Un equilibrio incerto che può essere radicalmente alterato da un traumatico intervento esterno. E così avviene.
- È bastato gridare che il re era nudo e tutti hanno finalmente potuto espellere quel bolo acido di insofferenza e frustrazione di fronte ad una politica autoreferenziale.
La grande slavina che dal 17 febbraio del 1992 in poi travolge tutti i partiti ha un casus belli – un mariuolo come tanti che intascava tangenti – ma presenta segni premonitori nella preesistente perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del sistema politico e dei partiti in particolare.
All’inizio del primo decennio degli anni Novanta circola un disagio che si modula su irritazione, sfiducia e persino rabbia. Le condizioni di vita sono giudicate insoddisfacenti: il 34% ritiene che, rispetto a cinque anni prima, siano peggiorate, a fronte del 29% che le ritiene migliorate.
La soddisfazione nei confronti del funzionamento della democrazia è minima: nel novembre del 1991 appena il 22% da un giudizio positivo sul nostro sistema, la percentuale più bassa tra tutti gli europei.
L’interesse nella politica è in picchiata: tra il 1985 e il 1990 il numero delle persone che si dichiarano molto o abbastanza coinvolte si dimezza, scende al 17%. A questa sindrome di apatia se ne associa una di esclusione: la stragrande maggioranza – 83% – percepisce la politica come qualcosa di lontano ed estraneo, come un’attività condotta da persone che non “si interessano a quello che pensa uno come me”.
Il 79% sostiene che “i partiti sono interessati solo ai voti, non alle opinioni della gente”. Eppure, il 53% dichiara di votare sempre per lo stesso partito “senza stare a guardare ai singoli errori”.
Fideismo e sfiducia si mescolano in uno strano impasto. Un equilibrio incerto che può essere radicalmente alterato da un traumatico intervento esterno. E così avviene.
È bastato gridare che il re era nudo e tutti hanno finalmente potuto espellere quel bolo acido di insofferenza e frustrazione di fronte ad una politica autoreferenziale.
Il piacere sottile nel vedere in televisione la processione dei politici inquisiti, o inchiodati sulla sedia dal Torquemada Di Pietro, arriva al culmine quando anche i manager e i presidenti di quasi tutte le più grandi industrie pubbliche e private passano da quelle forche caudine.
In quel passaggio si svelano due sentimenti destinati a fluttuare a lungo, pronti ad eruzioni improvvise: antipolitica e populismo. Il successo della destra nel 1994 impasta queste tendenze. Il teatrino della politica berlusconiano e la Roma ladrona di Bossi, coniugati con il mito dell’onesto lavoratore (padano) e del parvenu escluso dai salotti buoni, sfondano porte aperte nella coscienza nazionale.
Il grillismo non è che la versione tecnologica e modernizzante, attraverso la rete, di pulsioni rousseauiane del buon cittadino selvaggio contro la casta. Pulsioni che rimandano a trent’anni fa e ancora in circolazione. Non sarà l’ultima espressione di tali sentimenti.
Già si profila l’onda dei patrioti di sani e cristiani principi che purificherà questo paese dai drogati e dai fautori dell’eutanasia.