Fusione prevista a maggio, dopo le Agorà. Base riformista: “Uno scivolone” La frecciata dell’ex premier a Draghi: “Non si può auto eleggere al Colle”
di Giovanna Casadio
ROMA — L’annuncio è praticamente ufficiale, perché a farlo è Massimo D’Alema, andato via dal Pd sbattendo la porta. Il “lider maximo”, ex premier, ex ministro degli Esteri, qui nella veste di semplice militante, negli auguri via web dell’ultimo dell’anno di “Articolo 1” (il partito che ha fondato con altri ex dem nel 2017), ha detto che «una ricomposizione è necessaria» e che l’augurio per il 2022 è «che si faccia un passo decisivo in avanti per la ricostruzione di una forza progressista». Si torna insieme col Pd.
D’accordo tutti, a cominciare da Pierluigi Bersani (che ha esortato: «Il campo progressista si dia una mossa») al segretario Roberto Speranza, al coordinatore Arturo Scotto. Tempi stretti per ricucire lo strappo: alla fine del percorso delle Agorà — le assemblee aperte volute dal segretario dem Enrico Letta per rilanciare il Pd — un congresso di “Articolo 1” dovrebbe sancire la svolta. A maggio, all’incirca.
Nei suoi auguri D’Alema critica Draghi («L’idea che il premier si auto elegge capo dello Stato e nomina un altro funzionario del ministero del Tesoro al suo posto mi sembra una prospettiva non adeguata per un grande Paese democratico come l’Italia, con rispetto per le persone») e non manca l’affondo contro Matteo Renzi, che all’epoca della scissione bersanian-dalemiana era segretario del Pd, andato via a sua volta per creare Italia Viva. E definisce la fase renziana del Pd, una «deriva disastrosa, una malattia che fortunatamente è guarita da sola, ma c’era. Pochi oggi potrebbero negare la fondatezza del giudizio sul rischio che quel partito cambiasse completamente natura nell’epoca renziana».
Gli ex renziani del Pd, riuniti nella corrente Base riformista che fa capo a Lorenzo Guerini e Luca Lotti, si risentono. Il coordinatore Andrea Romano giudica «grossolano, offensivo e controproducente il riferimento al renzismo come “malattia”. Comunque è una buona notizia che si prenda atto del fallimento della scissione di “Articolo 1”: non esiste sinistra di governo fuori dal Pd, che è partito plurale». E Enrico Borghi, responsabile sicurezza dem, parla di «caduta di stile paragonare un ciclo politico a una malattia. Ma se lui ritorna in quel Pd che aveva definito l’amalgama non riuscito, significa che le ragioni del Pd sono più forti». Anche la sinistra dem non apprezza. Gianni Cuperlo ad esempio afferma: «Di certo la “malattia” dem, per usare le parole di D’Alema, non è guarita da sola, ma è guarita perché c’è chi in quel partito è rimasto e ha combattuto a viso aperto anche per sconfiggere una linea sbagliata». Twitta Filippo Sensi, poco incline alle polemiche: «Da democratico e oggi da parlamentare democratico, siccome ci sono stato e sono orgoglioso e grato di quella stagione e del mio partito prima, dopo e durante, trovo offensivo e sbagliato definire gli avversari politici come malattie». Comunque la strada è tracciata: il partito dei bersaniani va verso lo scioglimento e verso il Pd, che è pronto all’accoglienza. Già nei territori ci sono segnali. In Emilia Romagna, che di Articolo 1 è stata roccaforte, da B ologna a Reggio Emilia sono in tanti ad avere voglia di «un soggetto unico della sinistra progressista». Intanto ci sono sei esuli bersaniani bolognesi. Nicola Oddati, il coordinatore piddì delle Agorà, ricorda che il percorso è cominciato con confronto sulle cose e sul programma. Da Articolo 1, Scotto precisa: «Siamo impegnati nel percorso delle Agorà. A valle di questo confronto nel merito decideremo in un congresso. L’obiettivo è costruire una forza progressista larga e plurale con il Pd e con chi ci sta».