di Giovanna Casadio
ROMA — Le previsioni erano sbagliate. Se qualcuno scommetteva sull’affare ormai fatto e blindato tra Unicredit e Montepaschi, dopo l’elezione a deputato del segretario del Pd Enrico Letta nel collegio senese, ebbene si sbagliava. La rottura della trattiva tra governo e Unicredit sembra essersi consumata in modo definitivo ieri, e Letta commenta: «Via XX Settembre ha tenuto il punto ed è stata in linea con gli impegni presi in Parlamento. Ora bisogna dare più tempo perché si possano delineare nuove opzioni». Un apprezzamento quindi al Mef e al ministro Daniele Franco. Ma la rottura del negoziato è un inciampo obiettivo per il governo Draghi e in definitiva anche per il Pd.
Di certo c’è che politicamente la strada era tutta in salita. Che sulla vicenda Montepaschi si sono consumate battaglie e scontri con il Movimento 5Stelle all’attacco e la Lega sulle barricate: entrambi in ogni modo contrari a quella che hanno definito “una svendita”. E infatti quando trapela la notizia che via XX Settembre, ovvero il ministero dell’Economia non è disposto a sottostare alla richiesta di Unicredit di ricapitalizzazione di oltre 7 miliardi di euro, ritenendola eccessiva, né alle altre condizioni, dalla Lega si levano grida di giubilo: “Vittoria! Svendita di MPS a Unicredit è saltata. Merito anche della Lega che ha denunciato l’irrazionalità economica e sociale dell’operazione”, twitta il deputato leghista Guglielmo Picchi. E la Lega si intesta lo stop alla trattativa: «Felici che da soli contro tutti siamo riusciti a bloccare il sacco di Siena con la svendita di Mps e macelleria economica e sociale connessa con l’operazione. Grazie a Salvini e alla Lega”. Rincara Fratelli d’Italia ricordando di avere presentato in Parlamento una mozione, a prima firma Adolfo Urso, in cui sosteneva che la “privatizzazione-salvataggio” di Mps di sarebbe rivelata “insostenibile per il contribuente italiano”. E ora? Per il partito di Giorgia Meloni va avviata una rinegoziazione con la Ue, chiedendo più tempo.
In realtà la situazione è assai più complessa, come le conseguenze che ne derivano. Letta durante tutta la campagna elettorale ha battuto su un tasto: «Valutiamo la proposta Unicredit, ma non a tutti i costi». Per il segretario dem, in primo luogo non a spese dei lavoratori, dal momento che nell’offerta Unicredit si è continuato a parlare di seimila/ settemila esuberi. In campagna elettorale per le suppletive a Siena, i Dem hanno elencato i paletti indispensabili. Eccoli: occupazione da salvaguardare, tutela del marchio Montepaschi ovvero no allo spezzatino, mantenere la governance della banca a Siena e continuità del ruolo dello Stato, anche se consapevoli che non potrebbe essere quello attuale.
I renziani parlano per bocca di Ettore Rosato: «Mps così non ce la fa più, ha sopportato tutti i mali di una banca in cui la politica ha fatto danni. Noi abbiamo molta fiducia nell’opera del premier Draghi e del ministro Franco». Però il tempo stringe. Ci sono scadenze europee da rispettare e se Unicredit si sfila, non è facile, realisticamente, trovare altri acquirenti per Montepaschi o immaginare un salvataggio a carico dello Stato. Ne sono consapevoli tutti, i protagonisti economici, i sindacati e anche la politica. Il segretario della Fabi (la Federazione autonoma dei bancari), Lando Maria Sileoni dichiara: «Comunque vada, noi non accetteremo la macelleria sociale e il cerino non resti in mano al sindacato ».