Chi consulti il Recueil Milliet, la celebrata raccolta di testi greci e latini relativi alla pittura antica, compilata da Adolphe Reinach, morto a ventotto anni sul fronte delle Ardenne nell’agosto del 1914, troverà, nel capitolo dedicato a L’apogeo della pittura antica a l’epoca di Alessandro e degli epigoni, una novantina di brani e citazioni al riguardo della figura e dell’opera di Apelle. Una prova della fama di quel pittore, considerato, se ci atteniamo alle testimonianze, il più grande del quarto secolo greco, e uno dei più celebrati dell’antichità.
Nato a Colofone intorno al 380 e vissuto ad Efeso e a Coo, di Apelle nulla ci è restato se non la descrizione delle sue opere più famose, dei modi della sua ricerca figurale (mi limito a richiamare quel suo precetto, passato in proverbio, in virtù del quale non sarebbe consentito al pittore di astenersi un sol giorno dal tracciare almeno una ‘linea’) e dei racconti di alcuni episodi della sua vita tramandati come esemplari. Aneddoti, questi di Apelle, giudicati dagli studiosi tra i più preziosi e, contestualizzati, da reputarsi in ogni caso tra gli indispensabili per chi voglia intendere motivi, stili e poetiche quando ci si applichi a ragionare del decorso delle arti, non solo della pittura, ma altresì del ruolo degli artisti ad Atene e a Roma, e delle sue variazioni dal quinto secolo classico al terzo dell’era volgare.
Nel primo secolo, Plinio il Vecchio (23-79), nel trentacinquesimo Libro della Naturalis Historia, la grande raccolta di fatti e osservazioni, di notizie e di classificazioni, a lungo si intrattiene sulla personalità di Apelle, su la sua tecnica e su numerose vicende della sua esistenza: «superò tutti quelli nati prima di lui nonché i posteri, si può dire che da solo egli fece fare più progressi alla pittura di tutti gli altri messi insieme pubblicando anche volumi che contengono le sue teorie». Plinio riporta, tra molti altri parimenti esemplari, due casi della vita di Apelle che, qui di seguito, trascrivo nella traduzione di Rossana Mugellesi. Nel primo si legge che Apelle «seppe essere anche molto affabile e per questo fu assai caro ad Alessandro Magno che soleva venire frequentemente nella sua bottega – infatti, come abbiamo detto, aveva ordinato con un editto che nessun altro facesse il suo ritratto -, ma quando cominciava parlare molto e a sproposito, lo invitava gentilmente al silenzio, dicendogli che faceva ridere i ragazzi addetti a mescolare i colori. Un tale diritto gli conferiva la sua autorità di fronte al re, peraltro di carattere irascibile».
A pelle dunque, invita Alessandro a non prender parola su argomenti che non possiede a che la sua autorevolezza di supremo monarca non venga compromessa. Consiglio che potremmo declinare in un motto: ‘si limiti il re per confermarsi nel suo potere’.
Anche il secondo episodio rientra nella questione dei ‘limiti’. Vi si impara che ciascuno è pienamente sé stesso, riconosciuto nel suo rango e apprezzato nella sua competenza, ma, invece, destituito di credibilità e redarguito quando sorpassi, per supponenza o inavvedutamente, il margine dei meriti – i ‘limiti’ – entro i quali e per i quali è rispettato. Apelle «esponeva le sue opere finite in una loggia ai passanti, e, nascosto dietro il quadro, ascoltava le critiche che gli venivano fatte preferendo, in quanto giudice più diligente, il volgo a sé stesso; e raccontano che una volta fu rimproverato da un calzolaio poiché nei sandali aveva fatto all’interno un occhiello di meno; il giorno dopo, lo stesso calzolaio, inorgoglito che il difetto fosse stato corretto in seguito alla sua osservazione del giorno precedente, voleva cavillare sulla gamba; allora Apelle si parò dinanzi al suo accusatore, e disse indignato che la sua critica non doveva salire oltre il calzare, e anche questa espressione è divenuta proverbiale».
Ai nostri giorni, ad ogni ora del giorno nei circuiti mediatici, è continua e ricercata la presenza di chi, oltre il proprio ‘limite’, al di là d’una cognizione o competenza, è invitato a prendere la parola e farfugliare ragionamenti precari per emettere giudizi tassativi.