Carta di Laura Canali – 2015.
RUBRICA IL PUNTO La preoccupazione principale di Israele non è il fronte esterno, con Hamas che lancia missili da Gaza, ma il fronte interno. Quale posto hanno nello Stato nazionale del popolo ebraico gli arabi e altre minoranze più o meno affini?
“Siamo una villa nella giungla”.
Il famoso detto del generale Ehud Barak, già primo ministro d’Israele, appare oggi rovesciato: c’è una giungla nella villa dello Stato ebraico. Giungla che negli scenari dei servizi di intelligence israeliani era stata analizzata da tempo. E che ora appare alla luce del sole in drammatica evidenza.
Gli arabi israeliani sono in rivolta. A Gerusalemme, nelle altre città miste – da Lod a Haifa, da Giaffa ad Akko – e perfino negli insediamenti beduini del Negev dilaga la violenza. Nel mirino, gli ebrei e i loro luoghi di culto. Colte con la guardia bassa, le forze di polizia e di sicurezza israeliane non riescono ancora a sedare la ribellione, scattata dopo gli incidenti di Gerusalemme Est e rinvigorita dall’ennesimo conflitto per Gaza.
E ciò a pochi mesi dagli accordi di Abramo e nel pieno dei negoziati – ora sospesi, si rischia di arrivare al quinto voto consecutivo per la Knesset – per un governo post-Netanyahu con decisiva quota araba nella nuova maggioranza. Ciò che aggrava la crisi in corso, marcandone il carattere strutturale, non episodico. Insomma, quale posto hanno nello Stato nazionale del popolo ebraico gli arabi e altre minoranze più o meno affini (drusi, circassi, beduini)?
Non è questione solo e nemmeno tanto socio-economica, ma soprattutto di status. Quindi di autocoscienza arabo-israeliana. E di percezione reciproca con la maggioranza di ceppo ebraico, nelle sue varie e diverse componenti. Quando gli arabi di Israele si pongono la domanda “chi siamo?” la risposta non è immediata, certo non univoca.
In termini numerici, i cittadini arabi di Israele sono corposa minoranza, vicina ai due milioni di anime. Il censimento ufficiale del 2019 ne contava 1.890.000, pari al 20,95% della popolazione. A Gerusalemme, capitale dello Stato d’Israele, sono i due quinti degli abitanti, quasi tutti concentrati nella porzione orientale della città. Moltissimi i giovani. Assai meno integrati di quanto fino a ieri apparisse.
Il fattore strategico della crisi in corso non riguarda affatto Gaza. Il lancio di missili da parte di Hamas e la volutamente sproporzionata reazione israeliana ricorrono con tragica cadenza più o meno decennale. Ma si tratta di “guerre di manutenzione”, in cui si dà sfogo alla tensione permanente fra la Striscia e Israele. Almeno fin quando Gerusalemme non dovesse decidere di invadere Gaza. Operazione dai costi umani, geopolitici e di propaganda talmente alti da sconsigliarla.
Il centro della questione è invece l’identità degli israeliani. Sembra di riascoltare il monito di David Ben-Gurion, che già nel 1919 stabiliva: “Non c’è soluzione! Fra arabi ed ebrei c’è un abisso e niente può riempirlo”. Qui sta il punto. Dopo la repressione e la punizione dei colpevoli, siano arabi o ebrei, le autorità di Gerusalemme dovranno stabilire quello che negli ultimi anni hanno pensato di potersi risparmiare: decidere che fare con gli arabi interni – o, come molti tra questi amano definirsi, i palestinesi in Israele. Perché nessuno Stato può permettersi la frantumazione del fronte domestico. Figuriamoci Israele, che da sempre vive con il fucile al piede.
Un anno fa Netanyahu pianificava l’annessione di buona parte della Cisgiordania, abitata da oltre due milioni di arabi palestinesi. All’ordine del giorno, una volta superata la crisi, sarà come “riannettersi” le centinaia di migliaia di arabi in rivolta. O come convivere con una componente domestica che, in caso di guerra, difficilmente potrebbe essere considerata affidabile dagli ebrei d’Israele.
Infine, ma non ultimo. Ciò che accade a Gerusalemme e dintorni ci riguarda da vicino. Quel che agita le città israeliane potrebbe ripercuotersi nelle metropoli europee, nostrane incluse. Qualche segno c’è già. Altri, temiamo, verranno.
10 letture su Israele e Palestina
Articolo originariamente pubblicato su la Stampa il 15 maggio 2021.