Dalle nostre parti, Palermo, che di casi giudiziari ne è imbevuta fin nel più profondo della sua anima, si dice: “non facciamo Cortile”. Che nel linguaggio comune significa di evitare polveroni e schiamazzi perché la parola migliore è quella che non si dice. La Magistratura è baluardo della Repubblica, perché se è vero che qualcuno le leggi le propone e poi le promulga, c’è chi quelle stesse leggi le deve far rispettare determinando di fatto la certezza del Diritto in una Giurisdizione specifica. Su questa semplice base concettuale si fondano la quasi totalità delle società moderne e le libertà civili in esse esigibili grazie all’immenso e storico lavoro di innumerevoli Padri della Patria, che per essa sono anche morti nel difendere quei principi cosiddetti imprescindibili. Avrebbe ragione Pier Camillo Davigo quando dichiara in un dibattito organizzato da A&I nell’Aprile del 2018 dal titolo Il momento del cambiamento. Proposte per un nuovo CSM che “in Italia c’è una domanda di giustizia patologica” e che da questo ne consegue o si evince un uso strumentale delle sentenze; e ha ancora ragione quando ammonisce sulla pura formalità delle udienze preliminari ove altrimenti uno davvero innocente non sarebbe mai portato a processo: a causa della evidente perdita di credibilità che ne deriverebbe per la pubblica accusa, e dello spreco di risorse.
Ma al tema dei Tribunali. O meglio, dell’occupazione dei Tribunali. E dunque del caso che sta infiammando le cronache: l’affaire Amara. Si fa un gran parlare di chi ha detto cosa e perché, del quando e per come di una serie di dichiarazioni di un avvocato, tale Piero Amara, delle rivelazioni scottanti più o meno ulceranti di un pezzo grosso divenuto “piccolissimo”, ex capo dell’ANM, Luca Palamara e del giro di soggetti più o meno legati alla giustizia che intorno a lui giravano, tutti comunque non esattamente pesi piuma. Una sfilza di fatti concreti o immaginari, di nomi e di cognomi, di malcelate consorterie viziate dalla cultura deviata e prevalente dell’impunità e della spudoratezza nel nome della glorificazione di sé nel proprio ambito, nel proprio clan. Ha ragione Bruti Liberati quando dice di Storari chiosando però che “l’individualismo è una brutta bestia”. Molteplici le ipotesi sulle ragioni del salto agli onori della cronaca dei verbali acquisiti verso la fine del 2019 dalla dott.ssa Pedio e dal dott. Storari per conto della procura di Milano e poi in via del tutto informale e forse illegittima fatti girare un po’ da Storari stesso in rotta coi suoi capi e colleghi (soprattutto De Pasquale e Greco), un po’ da Pier Camillo Davigo, ad un certo punto un po’ da chiunque. Verbali segreti dunque, ma Davigo un po’ in difficoltà puntualizza che non sarebbero verbali, ma semplici file word nemmeno firmati, e che Storari ha fatto bene a muoversi vista la situazione, e che lui non ha infranto nessuna regola, e che quelle informazioni le ha passate a chi di dovere, e, soprattutto, che ad alcune domande preferisce non rispondere. Non risponde alla domanda che lo figura prima lasciar intendere di aver informato di tutto, per vie traverse, il capo dello Stato che poi è anche capo del CSM, salvo poi ammutolirsi di fronte ad una mancata conferma da chi quella informazione al Quirinale avrebbe dovuto portarla, Ermini. Lo stesso Ermini che a Luca Palamara pare abbia detto, di Davigo, “così si inflaziona, troppa TV”. Pier Camillo Davigo decano dei tribunali, in pensione da un fischio, emerito rappresentante integerrimo della magistratura più integra, quello che nel plenum straordinario del 20 Giugno 2019 a Sergio Mattarella evocava “il senso profondo del processo […] i diritti di tutti degli imputati e delle vittime” è per ironia della sorte, in maniera sorprendentemente ingenua, la prova vivente di quel sistema che Luca Palamara in extrema ratio spiattella nel libro-intervista pubblicato da Rizzoli e realizzato con Alessandro Sallusti. Lo stesso sistema malato e degenerante perfettamente fotografato quarant’anni or sono da uno che il politico lo faceva talmente bene da spingere ad andare a piangerlo ai funerali persino gli acerrimi nemici giurati; chissà cosa stanno dicendo tra loro Berlinguer e Almirante da lassù che si vede bene.
I partiti hanno occupato stabilmente i tribunali e gli organi nevralgici del potere giudiziario, e lì si sono rintanati, lì conservano rabbiosi ideali al macero, che non trovano spazio in un parlamento pienamente mercantilista. Il popolo vota i brand, i brand scelgono persone fidate che a questi si affiliano per convenienza purtroppo, non solo economica, persino ideologica. Berlinguer parla di clan, Palamara parla di clan, il vecchio testamento parla di clan e non bene. Cosa importa se le dichiarazioni di Amara siano un avvertimento a qualcuno per ottenere garanzie su qualcosa? Cosa importa se l’ingenuità di Storari e Davigo, probabilmente in buona fede, credo che nessuno abbia davvero dubbi su questo, riveli l’esistenza di fatto di un Sistema da sé stesso negato a gran voce, come un uomo solo nel buio che in un momento di delirio si trovi ad urlare: “io non esisto!”.
Importa davvero capire se i verbali siano arrivati ai giornali per delegittimare completamente le parole di Amara al fine di invalidarne i contenuti o se queste stesse parole invalidate a metà per scarsa credibilità del “collaboratore di giustizia” siano usate come arma per delegittimare l’intero operato della magistratura o solo di una parte di questa per interessi di corrente o persino per vendette personali? Ha di nuovo ragione, e tanta, Bruti Liberati quando dice che l’individualismo è una brutta bestia. Già una volta in Italia spingere il petto in fuori e far la voce grossa agendo a spada tratta e per sotterfugi è stato il modo “giusto” di agire e non è finita bene e i sequel non hanno mai lo stesso sapore. Piero Amara avvocato faccendiere, bugiardo patentato, ha 100 milioni di dollari intestati ad una certa società (Napag) con origini a Gioia Tauro che ha i brevetti per trasformare i succhi di frutta in petrolio iraniano spacciato per iracheno e questo sembra non essere un problema, certo adesso lo diventerà e chissà che fine faranno quei soldi. Una cosa è verosimile: difficile che da Eni trading and shipping partano tutti sti soldi alla leggera, e infatti Umberto Vergine non voleva. Così pare che un triangolo consolidato Amara-Armanna-Longo (l’ultimo un magistrato), con false accuse, abbia fatto saltare Vergine per sostituirlo con il più compiacente Massimo Mantovani il quale a sua volta farà i pagamenti per conto di ENI alla Napag di Amara (società in cui lui ufficialmente, pare ovvio, non figura). Perché ENI muove 100 milioni di dollari in quella direzione?
Giulio Andreotti in un modo o nell’altro sbuca sempre con la sua sottile e affilata ironia: cosa dovremmo pensare, che un intero processo possa essere messo su per garantire una transazione commerciale? Certo sarebbe pensar male e azzeccarla sarebbe troppo triste. Però è vero che i 100 milioni non sono stati sequestrati, che Amara pur sbeffeggiato e trattato a pesci in faccia almeno in apparenza continua ad essere protetto quantomeno nella qualità di teste, poco attendibile, ma teste a carico. Dunque perché Amara parla vagamente ma non fa nomi? È un avvertimento? Perché De Pasquale che è il PM che ha indagato su Eni-Nigeria si ritrova nel circuito bollente che porta Storari a passare le carte a Davigo? Perché si trovava da quelle parti per caso? Perché Davigo viene manifestamente scaricato dal CSM? A pensare male potrebbe sembrare che la Magistratura, oltre un certo livello, sia diventato luogo di arbitrati speciali al di sopra delle leggi in cui cani più o meno rabbiosi si spartiscono le carni e le ossa pavoneggiandosi col maltolto in bocca, ma noi questo non vogliamo pensarlo e forse non vogliamo nemmeno vederlo.