La collezione delle collezioni

Invisibile per decenni, la raccolta di antichità dei Torlonia, tra le più ricche del pianeta, è finalmente esposta a Roma Una novantina di sculture sono un’anteprima del museo che verrà
di Claudio Strinati
La mostra Torlonia era pronta a Roma già prima del lockdown di marzo. Gli organizzatori sono rimasti fermi nei loro propositi e ora la manifestazione è aperta sul serio a Villa Caffarelli in Campidoglio ( fino al 29 giugno 2021): un evento nel panorama culturale del nostro tempo.
La storia della collezione Torlonia sarebbe appropriata alle più avvincenti serie televisive, piena di personaggi memorabili, colpi di scena, acquisizioni di un immenso patrimonio accumulato tra Ottocento e Novecento, quando i Torlonia assunsero posizione dominante. Nati come commercianti di cospicue attitudini produttive e manageriali, diventati banchieri accorti e avveduti, proprietari terrieri di prim’ordine, divennero presto mecenati e promotori di imprese culturali degne dei principi rinascimentali e dei papi dell’età barocca.
Accumularono così, tra scavi effettuati nei loro domini e acquisizioni di antiche collezioni formatesi a Roma già dal Quattrocento, un formidabile insieme di sculture antiche tra busti, rilievi, statue a tutto tondo, sarcofagi.
La mostra racconta questa storia con esemplare rigore scientifico e felice impostazione narrativa. Nel 1875 il principe Alessandro Torlonia inaugurò il Museo Torlonia alla Lungara, forte di oltre seicento opere, in quello stesso palazzo dove poi, dopo vicende complesse, tornarono in larga parte negli anni Sessanta del Novecento per essere a lungo immagazzinate dopo una ristrutturazione dell’edificio che provocò un periodo di relativo oblio di tale patrimonio, comunque sottoposto al vincolo complessivo di importante interesse imposto dal Ministero dei Beni culturali.
In anni recenti, la nascita della Fondazione Torlonia nel 2014 e l’accordo sottoscritto nel 2016 tra famiglia, Fondazione e ministero hanno segnato, sia pur tra varie problematiche familiari e istituzionali, la grande svolta nella storia della mitica collezione che conduce alla mostra odierna. Tra il 1884 e il 1885 ne fu pubblicato un catalogo magnifico a cura di Carlo Ludovico Visconti da cui gli eruditi poterono farsi una chiara idea del valore della collezione, sbalorditivo scrigno di eccelsi capolavori, contenitore di documentazione notevole sulla storia dell’arte classica, testimone di una prassi, quella collezionistica appunto, vanto e gloria peculiare della nostra tradizione.
I due eminenti attuali curatori della mostra, Salvatore Settis e Carlo Gasparri, hanno scelto e illustrato una novantina di opere tra le più significative, sottoposte a restauri accurati da Anna Maria Carruba e il suo staff, con il finanziamento della Fondazione Torlonia e il determinante contributo di Bulgari. È stato restaurato dalla Sovrintendenza Capitolina diretta da Maria Vittoria Marini Clarelli, uno spazio dei Musei Capitolini a Palazzo Caffarelli di Roma Capitale, non più utilizzato da oltre cinquanta anni. Vi è stata installata la mostra allestita con grande competenza e qualità da David Chipperfield Architects Milano. È stato pubblicato un catalogo da Electa – che cura molti aspetti dell’organizzazione generale, affiancando Zétema Progetto Cultura – destinato a restare una pietra miliare negli studi. Si ribadisce così l’importanza di una collezione che già i nostri predecessori osarono paragonare alle raccolte archeologiche vaticane.
I Torlonia, dunque, attinsero da varie fonti e la mostra ci racconta passo passo tutta la vicenda nelle cinque sezioni in cui è articolata, secondo un’ idea espositiva efficacemente elaborata dal professor Settis: la collezione di collezioni.
Prima i Torlonia comprano le opere raccolte nel Settecento da Bartolomeo Cavaceppi, scultore e restauratore. Poi, nel 1816, 270 pezzi della collezione seicentesca del marchese Vincenzo Giustiniani. Poi effettuano scavi nei loro domini con gran messe di risultati. Quindi, nel 1866, acquistano Villa Albani, l’ immenso e mirabile scrigno del culto dell’Antico creato nel Settecento dal cardinale Alessandro Albani. Collateralmente acquisiscono beni provenienti da collezioni cinquecentesche famose come quella Cesi.
Su tutte le opere applicarono i criteri di restauro e ricomposizione vigenti nella cultura tardo ottocentesca, criteri oggi per lo più a noi estranei. La mostra lo spiega bene: le statue che troviamo esposte non le vediamo così come uscirono dalle mani degli autori che le crearono. Talvolta gli esperti stessi possono avere dubbi sulla datazione esatta e persino sulla pertinenza dell’opera all’epoca cui per iconografia e stile dovrebbe appartenere.
Ma proprio qui è il fascino supremo dell’esposizione, indagine che ogni visitatore, coltissimo o per avventura ignaro, può e deve compiere. Un enorme insegnamento e un’esperienza divertente nel senso più immediato e diretto della parola: la cognizione del passato implica un impegno intellettuale ed emotivo di pari intensità che contempla intuizione, tecnica, dottrina, gusto.
Si dice che questo patrimonio Torlonia ci appartenga e naturalmente sotto il profilo culturale ed etico è così. Ma la saggezza impone che a livello patrimoniale la differenza tra il pubblico e il privato sia mantenuta, in casi come quello della collezione Torlonia, per come la storia ce l’ ha consegnata.
Ne deriva un atteggiamento da parte nostra di scrupoloso rispetto del privato proprio in conseguenza dell’intelligente e illuminata illustrazione degli elementi di pubblico interesse che la mostra ci fa conoscere nell’ottica di una ricerca scientifica diversa da quella di un recente passato.
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