Il nuovo negazionismo

Idee
Fantasie e verità deformate dilagano di fronte alle crisi più attuali, da quella ambientale a quella sanitaria. Perché la manipolazione mediatica serve all’ascesa dei sovranismi. I soliti capri espiatori – i migranti, i cinesi (sotto casa)…- non funzionano più come ricettacoli di colpe. Non resta che la fuga nella dietrologia o nel revisionismo
Ivan Canu
Se fossi una mente dietrologica sosterrei di aver scoperto una serie sconcertante di coincidenze. Quel che è successo in Costa Smeralda ha precorso ciò che accade negli Stati Uniti a ridosso delle elezioni presidenziali. Il focolaio del Billionaire la prova generale del focolaio alla Casa Bianca. Nell’edizione italiana di “The Apprentice” non è stato proprio Briatore a vestire il ruolo che ha reso Trump tanto popolare? Non è ancora più evidente il parallelismo tra il presidente Usa e Berlusconi, per i fedelissimi ancora “il Presidente”? Mettiamoci pure che il sessanta per cento delle basi militari americane in Italia si trova sul suolo sardo. Ecco gli elementi per una teoria del complotto più plausibile di quelle che si diffondono di pari passo al coronavirus.
Nel 2015 Umberto Eco tenne una lectio magistralis dal titolo “Conclusioni sul complotto: da Popper a Dan Brown”. Un nodo toccato da Eco «non è tanto la diffusione della sindrome del complotto, che è sotto gli occhi di tutti, ma delle tecniche vorrei dire pseudo-semiotiche con cui i complotti vengono provati e giustificati. Venticinque anni fa mi ero soffermato su quello che chiamavo “cancro dell’interpretazione”: il modo disinvolto con cui i maestri dell’occultismo riuscivano a trovare rapporti tra eventi sconnessi sulla base di analogie e similitudini discutibili. Vorrei mostrare come gli stessi procedimenti disinvolti siano eseguiti dai teorici del complotto». Già prima di social media, fake news e click baiting, spiegava Eco, bastavano un paio di analogie tra fatti reali, una dose di vecchie leggende e di triti ingredienti narrativi per preparare una verità alternativa: pronta a nutrire i fini della disinformazione.
Sul treno per Milano all’inizio di agosto avevo pubblicato un selfie in mascherina che attirò un lungo commento sotto il mio post su Instagram. Tal “Rabbi Mithra” mi indottrinava sul piano oscuro ordito da Bill Gates e altri “criptoebrei” miliardari come i Rockefeller. Ero così contenta di festeggiare il mio compleanno con gli amici che mi figurai l’autore del “Cimitero di Praga” scuotere la testa dinanzi a una versione dei “Protocolli dei Savi di Sion” tanto demenziale da non menzionare un ebreo autentico: neanche Soros! Ma quando compresi che fosse bastato l’hashtag #wearamask a scatenare il “rabbi” antisemita, ho avuto un brivido. Potevamo tirare il fiato in Italia, non nei luoghi da cui supponevo il commento in inglese fosse arrivato. Come era possibile negare una realtà minacciosa per chiunque, rimpiazzandola con una fantasia complottista? Quando Facebook ha deciso di eliminare QAnon anche da Instagram, è sparito il commento al mio selfie. Non avrei mai immaginato che quella delirante “religione”, con seguaci che credono in un mondo dominato da una “cabala” di pedofili satanisti, fosse dilagata al punto da lambirmi. QAnon è in attesa della “Tempesta” in cui Trump sconfiggerà i malvagi. Il Prescelto ha detto che apprezza di essere così benvoluto e ha ritwittato tweet riconducibili a QAnon, tra cui uno con l’hashtag #PedoBiden. Secondo una ricerca della Cornell University, negli Stati Uniti la principale fonte di disinformazione sul coronavirus sono stati i messaggi usciti dalla Casa Bianca o ascrivibili al Presidente. Nulla è cambiato da quando Trump si è ammalato, come dimostrano la scena del rientro alla Casa Bianca e i tweet che definivano Covid un’influenza di cui non aver paura. Dopo Boris Johnson e Bolsonaro, Trump è il terzo leader a soccombere a un virus di cui ha minimizzato, se non negato, gli effetti devastanti. Intanto nei Paesi da loro governati i morti superano i 400mila, più di un terzo del conteggio globale che oltrepassa la metà sommandovi i numeri dell’India. Tutte democrazie guidate da leader sovranisti che mal sopportano il potere dell’essere microscopico definito da Donatella Di Cesare “virus sovrano”. Quel che accomuna i tre leader non è solo una presunzione di invulnerabilità. È soprattutto l’indifferenza verso i cittadini più vulnerabili, sia al virus che ai suoi effetti economici. Neri, nativi, lavoratori a basso reddito, la cui vita o morte non incide sull’andamento dei mercati. I leader sovranisti, che riconoscono sopra di sé solo l’autorità bizzosa del dio mercato, somigliano a sovrani assoluti. E spesso basta che, come quelli, concedano briciole ai cittadini-sudditi perché la loro popolarità esca rafforzata. Accade nel Brasile di Bolsonaro, dove la violenza catastrofica con cui la pandemia falcidia le popolazioni dell’Amazzonia va incontro al piano di sfruttare senza riserve il più grande polmone verde del pianeta. Dopo di me il diluvio: anche se il diluvio – l’innalzamento del livello dei mari – è atteso in un futuro non lontano. Non stupisce che il negazionismo verso il coronavirus si combini con il negazionismo del cambiamento climatico. Ma non spiega perché un numero crescente di persone – in gran parte di destra, ma non solo – continui a vedere dei campioni della libertà, se non capi carismatici, re taumaturghi, in quegli uomini politici cinici ed egotici. «Sarebbe veramente grave che qualcuno che è stato scelto dalla gente, l’unto dal Signore, perché c’è qualcosa di divino dall’essere scelto dalla gente, possa pensare di tradire il mandato dei cittadini», disse, nel 1994, Silvio Berlusconi inaugurando la prima esperienza di populismo in una democrazia avanzata. Per vent’anni siamo stati scherniti all’estero. Oggi sembra un prototipo bonario, lui che additava i comunisti e le toghe rosse, ma non ha mai basato sull’odio il suo consenso. Infatti non si è percepita malevolenza quando lui stesso ha comunicato le sue gravi condizioni, smentendo il suo medico. L’atteggiamento negazionista o perlomeno irresponsabile è alimentato da figure come il dottor Zangrillo, divenuto famoso per l’uscita sul virus “clinicamente morto”. Nell’infodemia che la pandemia si è tirata dietro, gioca un ruolo centrale lo scontro tra esperti schierati in fazioni, ma tutti reclamanti di esprimere la verità scientifica. Però, come insegnava Popper e come, a proposito della matematica, ribadisce Chiara Valerio, nella scienza «valgono solo le verità partecipate e i principi d’autorità non esistono». La scienza, come la democrazia, si basa su processi di verifica lenti e complessi, troppo per chi in condizioni di sofferenza vuol sapere a che santo votarsi. Perciò la scienza non ha guadagnato credito, nonostante sia l’unica a darci gli strumenti per prevenire e curare, così come è la sola a fornirci le competenze contro il disastro ecologico. Eppure nomask, negazionisti, seguaci di QAnon crescono anche nella democrazia occidentale che ha meglio affrontato l’epidemia: anche sul piano dell’informazione corretta. Christian Drosten, virologo “venerato e odiato” per Der Spiegel, continua a fornire aggiornamenti e a ricevere minacce di morte. E se lui dice di scontare “il paradosso della prevenzione” che funziona, la risposta non spiega perché i negazionisti aumentano anche dove è facile conoscere gente morta di Covid.
A luglio, lo scrittore indiano Pankaj Mishra ha pubblicato su The Atlantic un saggio su Usa e Regno Unito , “stati in via di fallimento”. La crisi del coronavirus metterebbe a nudo la hybris da padroni del mondo finiti in un processo autodistruttivo. Nel contrasto dell’epidemia se la cavano meglio i Paesi dove lo Stato dispone delle strutture capaci di intervenire sia sul piano economico che su quello sanitario. Il discrimine non corre tra dittature, come la Cina, e democrazie; bensì tra democrazie dove anche i cittadini hanno introiettato l’individualismo liberista e altre dove il potere correttivo dello Stato sociale è visto con favore. Il negazionismo del coronavirus è fenomeno occidentale. Per definirlo e per definire il “negazionismo climatico” le altre lingue occidentali – inglese, francese, tedesco – usano termini che derivano dal concetto freudiano di diniego. L’inglese distingue tra “denial” e “denialism” che indica come il meccanismo di difesa per gestire un problema negando la sua esistenza possa diventare collettivo, ideologico. “Negazionismo” designa solo quello storico. Infatti, chi si adopera per “smontare” il genocidio ebraico agisce in una logica che non ha nulla di irrazionale. Vuole rimuovere una macchia che impedisce la riabilitazione di una tradizione a cui aderisce, vuole ripristinare lo “stato d’innocenza” per cui la colpa è dell’Altro: un Nemico che non sia solo un inafferrabile burattinaio, ma anche il vicino di casa contro cui sfogarsi, senza danno per chi è dei “nostri”. Come ai tempi in cui i “Protocolli”, già smascherati come falso, non mancavano nelle librerie di persone rispettabili. Ma oggi i soliti capri espiatori – i migranti, i cinesi (sotto casa) – non funzionano come ricettacolo di colpe. Così non resta che la fuga nel cortocircuito delirante tra diniego e spostamento complottista, mentre l’offerta quotidiana di colpevoli – i runner, i giovani della movida – invecchia in fretta. «Vedo deliri di onnipotenza ovunque, capri espiatori a ogni piè sospinto, perché se c’è un mito incrollabile dell’Occidente è che se fai il bravo, poi hai successo», ha scritto la scrittrice (e astrofisica) Licia Troisi su Facebook. Molto prima di aderire a quel mito, siamo stati coloro a cui fu comandato: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente». L’umanità occidentale che ha dominato persino sulle “razze umane inferiori”, fatica a sopportare che, d’ora in poi, la vita dipenderà dalla capacità di adattarci a non incarnare più l’essere sovrano che può tutto.
https://espresso.repubblica.it/