La battaglia per la conquista del terzo istituto italiano si chiude prima del tempo. Intesa SanPaolo porta a casa l’offerta pubblica di acquisto e scambio di azioni su Ubi lanciata il 17 febbraio scorso. Una vittoria completa, dopo mesi di battaglia, perché, a due giorni dalla scadenza, la banca guidata da Carlo Messina ha già l’adesione del 71,9% del capitale dell’istituto bresciano-bergamasco, dunque oltre il 66,7% che serve per integrare del tutto l’ex popolare in Intesa.

È, insieme, l’ennesimo capitolo del declino del capitalismo italiano e, per così dire, la vittoria del mercato sulle logiche di campanile che hanno sgovernato il settore bancario.

A decidere la partita sono stati i grandi fondi azionisti di Ubi, ma i vertici, guidati dall’ad Victor Massiah, avevano già visto la defezione di buona parte degli azionisti storici che hanno sempre tenuto in pugno la banca. Ubi è nata 12 anni fa da un accordo di potere tra i “bresciani” e i “bergamaschi” cucito dal grande vecchio della finanza cattolica, Giovanni Bazoli che sottrasse il “suo” Gruppo banca lombarda alle mire del Santander di Emiliano Botin per fonderlo con la bergamasca Bpu (Botin fu ricompensato facendogli rifilare la scassata Antonveneta al Montepaschi, affossandolo del tutto).

Massiah e il suo dante causa Bazoli hanno governato le risse tra le famiglie locali, socie e debitrici della banca, con patti talmente al limite da finire a processo insieme a buona parte dei vertici di Ubi e ai capataz bresciani e bergamaschi. In questi anni la banca ha perso valore in Borsa mentre i vertici non sono riusciti a trovare un salvatore, sentendosi conquistatori. Che la prima banca italiana si prenda la terza (saranno il settimo gruppo in Ue) non è un bene per la concorrenza, ma Intesa fa fuori dal mercato un gruppo in difficoltà, gestito più con logiche di potere che finanziarie. Prova ne sia che per anni è stato eterodiretto dal bresciano Bazoli mentre era presidente della rivale Intesa (di cui oggi è presidente onorario). Anche questo è il mercato. Il terzo polo bancario italiano potrà nascere solo da ipotetiche fusioni tra Mps, Bper e Banco-Bpm, sempre ostacolate dalla cronica mancanza di capitali e dagli interessi di bottega dei vertici.

L’operazione proietta Messina e Alberto Nagel di Mediobanca, advisor dell’assalto, in una posizione di assoluta preminenza nella finanza italiana, in una triangolazione che ha coinvolto anche Unipol e la partecipata Bper (che si prenderà 500 sportelli di Ubi). La pace tra Intesa e Mediobanca servirà per la prossima partita finanziaria: la sorte di Rcs di Urbano Cairo, editrice del CorSera, di cui Intesa è grande creditrice. Il gruppo è appeso all’esito del mega contenzioso avviato da Cairo contro il fondo Blackstone sul palazzo della storica sede di via Solferino. Messina punta a un’intesa (previo ricambio in Rcs), ma Cairo resiste. Oggi all’asse Intesa-Nagel non ci sono contrappesi. L’unico è Leonardo Del Vecchio di Luxottica, che ha lanciato l’assalto a Mediobanca. Ma attende l’ok della Bce.

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