La storia c’insegna che l’umanità evolve in misura significativa solo quando ha davvero paura … Una pandemia di grandi dimensioni farà quindi nascere … molto più rapidamente di quanto avrebbe fatto la sola ragione economica … un vero governo mondiale.
Jacques Attali, 06/05/2009
Mentre questa pazza primavera volge finalmente al termine e il mondo occidentale è ancora intento a leccarsi le ferite dopo uno dei periodi più traumatici della storia recente, i potenti del pianeta stanno già pensando a come trarre vantaggio dall’emergenza in corso. “Mai lasciare che una buona crisi vada sprecata” — recita il vademecum del buon governante — e allora poco male le centinaia di migliaia di morti, o i milioni di persone che hanno perso il lavoro e sono ora ridotte sul lastrico: la pandemia potrebbe rivelarsi una straordinaria occasione per ripensare il mondo dalle sue stesse fondamenta.
A chiamare all’appello miliardari e filantropi da ogni angolo del globo ci ha pensato nientemeno che l’eterno erede al trono britannico, il principe Carlo. La scorsa settimana, nel discorso inaugurale per il lancio de “Il Grande Reset”, un’iniziativa da lui promossa al World Economic Forum di Davos, Carlo ha parlato di
un’opportunità d’oro per ricavare qualcosa di buono da questa crisi. Le sue ripercussioni senza precedenti potrebbero rendere la gente più ricettiva a grandi visioni di cambiamento.
Principe Carlo
Carlo è da tempo in isolamento precauzionale dopo aver contratto a marzo una forma lieve di Covid-19. Durante l’emergenza sanitaria si è anche molto temuto per la vita di suo padre, il quasi centenario principe Filippo che, nonostante le tante voci che lo davano per morto, sarebbe invece ancora vivo e vegeto in compagnia della consorte, la regina Elisabetta. Riguardo a Filippo, è perlomeno una curiosa coincidenza il fatto che egli in passato avesse più volte confidato alla stampa di volersi “reincarnare sotto forma di un virus mortale” per “risolvere il problema della sovrappopolazione”.
Per i malpensanti la teoria del complotto è praticamente servita su un piatto d’argento: potremmo infatti avere a che fare con una tipica operazione di ingegneria sociale sul modello problema — reazione — soluzione. Come spiegato da Noam Chomsky nel suo “Media Control: The Spectacular Achievements of Propaganda” (2002), i mass media sono soliti concentrarsi su un problema specifico proprio per suscitare una forte reazione nell’opinione pubblica e prepararla così ad accettare una soluzione prestabilita. Ad esempio si può orchestrare una crisi economica per limitare i diritti civili ed imporre un regime di austerity. In tal caso il “problema” produce uno stato di incertezza ed ansietà generale che spiana la strada alla messa in atto della “soluzione” desiderata. Come diceva Attali, la paura gioca sempre un ruolo chiave nei cambiamenti sociali. Non è un caso che qui in Italia, negli anni di piombo, quello stesso modus operandi venne ribattezzato “strategia della tensione”: allora si trattava di organizzare atti terroristici e di attribuirli alla sinistra radicale con l’intento di fermare l’ascesa del partito comunista.
Nel caso del virus odierno, esso potrebbe perfino esser stato ingegnerizzato in laboratorio per poi essere rilasciato al momento opportuno. Ad oggi però, non ci sono prove decisive per supportare una tesi del genere. Uno studio molto citato uscito su Nature a metà marzo riteneva “improbabile” che il nuovo coronavirus fosse di origine artificiale. Di contro, diversi scienziati di fama internazionale come il premio Nobel Luc Montagnier e Peter Chumakov dell’Accademia Russa delle Scienze hanno sostenuto che fosse il risultato di esperimenti da laboratorio. Il genetista israeliano Ronen Shemesh ha individuato una singolare mutazione, difficilmente evolutasi in natura, che renderebbe il nuovo virus particolarmente infettivo: “Se stessi cercando di progettare un ceppo virale con una maggiore affinità e potenziale infettivo per l’uomo, lo farei esattamente così”, ha di recente sostenuto in un’intervista.
Ma questo dibattito richiederebbe un’articolo a sé. In quello presente, invece, sorvoleremo sulle possibili dietrologie riguardo all’origine del virus e ci concentreremo piuttosto sulle soluzioni avanzate dalle élites mondiali per affrontare la crisi. Come ha affermato un altro grande vecchio della politica internazionale, Henry Kissinger, questa pandemia “cambierà per sempre l’ordine mondiale”. Al di là dei proclami trionfalistici, quello che ci interessa è capire come.
Al summit virtuale di Davos c’erano alcune tra le più importanti personalità del panorama politico ed economico mondiale: oltre al sopracitato principe Carlo, erano presenti Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum, António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, e Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale. Per Schwab, “è arrivato il momento di un ‘grande reset’ del capitalismo” globale:
Tutti i paesi, dagli Stati Uniti alla Cina, devono partecipare, ed ogni industria, da quella del petrolio e del gas a quella tecnologica, devono essere trasformate… La pandemia ci ha mostrato quanto rapidamente possiamo effettuare cambiamenti radicali nel nostro stile di vita… e rappresenta una rara quanto stretta finestra di opportunità per riflettere, ripensare e riorganizzare il nostro mondo.
Klaus Schwab