Il tempo: l’eterno presente

di Massimo Rossi

 

L’uomo è una entità infinitamente piccola nell’Universo.
Generato da circostanze particolari o, per chi crede, da Dio.
L’uomo ha sempre avuto un preciso proposito: governare il TEMPO !
Possiamo dire che l’uomo ha da sempre avuto un rapporto molto particolare con il “Tempo” e tale rapporto via via è poi cambiato.
Nell’età preistorica il tempo non era ancora un concetto ma era un periodo delimitato nel quale la persona nasceva e moriva.
Non esisteva un tempo per tutti, un tempo di tutti, un tempo definito.
Esisteva un tempo individuale e dell’individuo che ancora non aveva un concetto dell’entità “tempo”.
L’uomo in questo periodo della vita del pianeta era a tutti gli effetti un animale.
Subiva, come gli animali, il tempo e cercava, semmai, di guadagnarne un po’ per se stesso.
Era una ricerca spasmodica ?
No, l’uomo di allora accoglieva quello che veniva.
Nel momento in cui l’uomo ha dato senso non solo all’individuo ma ad una embrionale forma di società (primordiale) si è dato importanza alla nascita e alla morte.
Nascita e morte che erano due eventi traumatici e che rinchiudevano un tempo, un periodo nel quale il soggetto esisteva, agiva, pensava, e via e via.
Si erano messi due punti cardinali.
Si erano fissati l’alba ed il tramonto.
Ma l’arco di tempo che intercorreva nell’era primitiva era sempre distante da un dominio del tempo medesimo come entità concettuale.
Gli eventi, i cataclismi, le malattie, le carestie erano eventi che superavano il concetto del tempo; essi appartenevano al tempo e lo dilatavano.
Non erano governabili e l’uomo li poteva solo subire.
Le civiltà è avanzata e via via che si è evoluta, l’uomo ha sviluppato una capacità: riempire e disporre del tempo che passa tra la nascita e la morte.
Lo ha fato mettendo cose, riempiendolo di eventi, sommergendolo di elementi che fanno si che la persona governi gli accadimenti e quindi (apparentemente) anche il tempo.
La nostra percezione è in realtà fallace perché noi non governiamo il tempo ma lo frammentiamo, lo sminuzziamo per renderlo più manipolabile.
Lo spezzettiamo per dare valore a qualcosa che altrimenti pensiamo che non lo abbia; sbagliamo, il tempo ha valore in se, è opportunità indefinita.
Il valore è il tempo stesso che in primo luogo è opportunità indefinita cui dare un valore individuale e collettivo.
Nella civiltà sempre più (apparentemente) evoluta sino ad arrivare ai nostri giorni non solo si riempie il tempo ma si programmano gli eventi sia individuali sia collettivi.
Ciò ci fa sentire “padroni del tempo” e ciò ci dona una sorta di immortalità dell’anima ed una dilatazione dell’essere.
Il mondo civilizzato nel quale viviamo (altre parti del nostro pianeta ancora no) ritiene, a torto, di governare e signoreggiare il “tempo”, di averlo contenuto entro parametri e perimetri definiti.
In realtà non governiamo il tempo ma siamo solo capaci di frammentarlo.
Il COVID 19 ci ha imposto un ritorno alle nostre caverne (alle nostre case), ci ha imposto di stare a guardare cosa c’è fuori, ci ha imposto di attenerci agli eventi.
Ci ha ricondotto a quella realtà che avevamo dimenticato: di essere ospiti in un giardino bellissimo ma dove possiamo incontrare mostri (visibili o invisibili).
Ci ha riportato a pensare al tempo non come programmazione e frammentazione ma come attesa ed opportunità dell’attesa.
Come attesa di un cielo celeste?
Attesa di un arcobaleno ?
Attesa di rondini nel cielo a primavera?
Forse no !
Tutto questo c’è malgrado e al di fuori di noi e ci è donato.
Attesa che noi impariamo a pensare le bellezze di questa terra, preservare le bellezze che l’uomo (anche lui !) ha creato ed a pensare non più solo al profitto ed al denaro ma alla nostra salute mentale e fisica.
Attesa per imparare che per sentirsi vivi non occorre spostare il nostro corpo in macchine di lusso o veleggiare con navi da sogno o abitare in castelli principeschi ma che basta sentire il nostro essere in armonia con il creato anche se il creato può sembrarci ostile.
Ogni istante in cui stiamo nelle nostre caverne pensiamo a quanto tempo dedichiamo a noi, ai nostri pensieri, alle nostre riflessioni.
L’arrestarsi improvviso del frenetico agire quotidiano, degli impegni frastornanti e spesso alienanti di ogni giorno, ora ci confonde, ci imbarazza.
Non eravamo abituati, a questa immobilità fisica.
Piuttosto ci eravamo abituati alla frenesia, ma in realtà eravamo tutti burattini in un teatro dove un possente Mangiafuoco tirava le fila di tutti noi, illudendoci di governare noi stessi.
Quella frenesia a tratti comoda, perché ci consentiva di dire che non avevamo tempo per noi stessi, per ascoltarci e metterci in discussione.
Ora, invece, “condannati” ad un immobilismo che ci siamo scordati, potremmo ascoltarci, ascoltare chi è vicino a noi, e forse, dopo, provare ad accennare delle timide risposte.
Probabilmente vere, perché nate da un silenzio nuovo, che si chiama auto percezione.
Ecco, forse, questa pandemia di cui ancora oggi non ci è nota (del tutto) l’origine è una opportunità e ci deve insegnare a guardare a noi stessi con occhi diversi ed a guardare gli altri negli occhi più intensamente e sovente.

 

 

R.P.