Marina Morpurgo torna in libreria con il seguito di una storia, quella che intreccia la vita del suo cane Blasco a quella della sua famiglia sfuggita alla Shoah, che ha commosso e fatto ridere i suoi tanti lettori
Da quando ha abbandonato Milano per trasferirsi su per i bricchi, non incontro più tanto spesso Marina Morpurgo, e tantomeno i suoi cani. Ma di lei e della sua famiglia (Vega, Marvina, Flick, e sì ok, ha anche altri due figli, questi ultimi umani) so quasi tutto. Marina mi fa strozzare dalle risate sulla sua pagina Facebook raccontando le sue disavventure da Enrichetta (personaggio della letteratura per l’infanzia a me sconosciuto prima che lei me ne rendesse edotta), mi bacchetta sulla mia, di pagina, quando abbocco a qualche bufala, mi terrorizza con le sue avventure da wonder woman (arrampicate vertiginose, sciate in territori estremi, vogate in laghi ghiacciati). Ma soprattutto mi fa passare dal riso al pianto e viceversa quando racconta storie della sua famiglia: donne (quasi sempre eccezionali), uomini (più spesso bizzarri) e cani, i suoi.
Un mix che tre anni fa ha contribuito a fare del memoir È solo un cane (dicono) un autentico caso letterario: dopo quattro ristampe, in questi giorni esce, edita come la prima da Astoria, una nuova edizione, con lo stesso titolo, ma seguito dalla postilla La storia continua.
Vi si narra di Blasco, l’amatissimo cao de agua (cane portoghese da lavoro su barche) dotato di umido nasone e morbido culotto, colpito a tradimento, quando aveva circa sette anni, da una malattia che non lasciava speranze, e invece salvato, seppur temporaneamente, al prezzo della perdita di una zampa. Intrecciata alla storia di Blasco, quella della famiglia ebraica di Marina, anch’essa condannata alla deportazione e alla morte e invece salvata dai Giusti di una cittadina toscana che la nascosero e protessero a rischio della propria, di vita.
A unire due destini e due specie così apparentemente lontani, Gambassi, il paese dove i nonni, la mamma e la zia di Marina trovarono rifugio grazie al coraggio di alcune suore e di un prete partigiano che girava con due bombe a mano nelle tasche della tonaca. E, molti anni dopo, luogo dell’allevamento da cui proveniva Blasco. Fu quella coincidenza a spingere Marina a ricostruire attraverso le testimonianze dei parenti e foto d’epoca una pagina di persecuzione e salvezza il cui senso può essere riassunto in queste bellissime parole: “Il male è chiassoso, arrogante, spudorato, volgare. Arriva gridando, dimenando le anche, si fa notare subito per gli strepiti e il lezzo: le sue azioni sono impossibili da ignorare. Il bene – quello vero – invece è timido, riservato, agisce quasi sempre in silenzio finché non lo vai a stanare, e anche allora è capace di stupirsi, di schermirsi: che avrò fatto mai di speciale?”.
Anche Blasco ha avuto i suoi salvatori, Marina naturalmente, ma anche l’oncologo canino che osò l’impossibile garantendogli un altro anno di corse sui prati e rotolate nel fango, seppure a tre zampe, e tutti gli amici coinvolti in quella folle e meravigliosa impresa.
Il libro racconta tutto questo, in pagine dove si ride (parecchio) e si piange (un po’). Come nella vita, anzi meglio che nella vita perché le risate sono molte e la bontà umana certamente maggiore che in natura.
“Ci sono cani che ti riportano le palline quando gliele lanci. Blasco non era tipo da palline (…) Però mi ha riportato una storia, mi ha spinto a colmare le lacune del racconto, a cucire e verificare finché ero ancora in tempo. Senza quel cane nasuto e mite quel periodo di guerra sarebbe ancora una caverna buia (…) e non avrei reso onore alla memoria dei tanti che ci avevano aiutato” ha scritto Marina che quel libro lo ha portato anche in carcere, a San Vittore, e ne ha scritto ( lo trovate qui) per Cultweek .
Blasco morì proprio nei giorni della prima uscita del libro, nell’ottobre del 2016. Oggi ci guarda ancora dalla copertina della nuova edizione, ma all’interno spiccano le foto di Vega, arrivata da un altro canile pochi mesi dopo, quasi una sua sosia, Marvina, nipote di Blasco, nominata “architetta spaesaggista” per la sua furia devastatrice di fiori e ortaggi, e Flick, il nobile e anziano segugio compagno di gabbia di Vega che nessuno adottava e che Marina si è portato a casa più recentemente. A voi il piacere di scoprire anche le loro storie.