Personaggi I giorni a Firenze di Umberto Boccioni nel ricordo di Primo Conti allora suo factotum. Un rivoluzionario che davanti ai «Prigioni» di Michelangelo disse: se fosse vivo sarebbe un futurista!
«Concorsi ignominiosi per l’arte. Fabbricazione spudorata di palazzacci, decorazionacce e monumentacci per la bestialità governativa di tutto il mondo. È proprio il concetto tradizionale che trionfa: perché Michelangelo ebbe l’incarico della Sistina, Raffaello delle stanze, Leonardo del Cenacolo, l’artista italiano che riceve un incarico, sia esso un ritratto, o una decorazione o un altro, non s’accorge che cade e s’avvilisce nella prostituzione». Umberto Boccioni era drastico, come tutti i rivoluzionari, nel momento in cui doveva dare voce alla pars destruens della sua visione. Così liquida l’arte del Rinascimento in un passo specialmente infuocato di Pittura scultura futuriste: dinamismo plastic o, uscito da Bottega di Poesia nel 1914, e destinato a suscitare una larga discussione. Il tono diventava anche più virulento nelle notazioni dei capitoli seguenti, e specialmente il terzo, «Contro la vigliaccheria artistica», in cui si affermava senza mezze misure che l’arte aveva il dovere di essere provocatoria, aggressiva, critica.
Eppure, malgrado le sue veementi proteste, quando l’artista futurista giunse a Firenze, si dette da fare per vedere i Prigioni , che lasciarono su di lui una impressione duratura. Lo testimonia Primo Conti, di cui oggi si celebra, con una serie di esposizioni promosse da molte istituzioni, tra cui la Fondazione Cassa di Risparmio, il trentennale della scomparsa con tre mostre, a cura di Susanna Ragionieri, accompagnate da un ampio catalogo edito da Polistampa. Fanfare e silenzi al Museo Bardini, Gli anni del Futurismo alla Fondazione a lui intitolata a Fiesole, presieduta da Gloria Manghetti, che promuove sullo sfondo mozzafiato di un paesaggio pittorico, lo studio dell’artista, conservando un prezioso archivio delle avanguardie storiche. Il tutto senza scordare una appendice sulle fotografie nella Sala del Basolato del Comune di Fiesole. Primo Conti, appunto, spiega la relazione tra l’artista futurista e il maestro della Sistina: egli racconta la presenza di Boccioni nella sua vita giovanile nel capitolo «Retroscena e retrobottega» delle sue memorie La gola del merlo , «provocate» da Gabriel Cacho Millet, uscite da Sansoni nel 1983. Ugo Tommei, che poi legò il suo nome alla avanguardistica rivista «Quartiere Latino», allora impiegato in una cartoleria del centro, aveva involtato dei pennini di metallo, che servivano al giovanissimo artista (allora a scuola al Galileo) in una pagina di Lacerba , di cui poi divenne collaboratore. Fu lo scrittore rivoltoso, legato a Gian Pietro Lucini, e come lui critico verso Filippo Tommaso Marinetti, a stabilire un contatto diretto tra Boccioni e Conti, quando si trasferì a lavorare presso la libreria di Ferrante Gonnelli. Nell’aprile del 1914 Lacerba annunciava proprio nella saletta di quell’esercizio, in cui aveva preso l’avvio l’innovativa pubblicazione, una prossima mostra di sculture di Boccioni.
Conti, quattordicenne, espresse un entusiasmo crescente, fino ad essere cooptato da Gonnelli, insieme a Tommei, nell’allestimento dell’esposizione. L’artista futurista amava realizzare sculture in materiali che deperissero, stabilendo che l’opera d’arte, come l’essere umano, dovesse vivere, ammalarsi, morire, insomma divenire a tutti gli effetti un organismo vivente. Quando giunse il prezioso gesso di Forme uniche nella continuità dello spazio , Conti si rese conto che l’opera era danneggiata, e ne mancava un pezzo. Per questo corse da un venditore di gesso in via delle Ruote, da cui era stato già per realizzare una maschera, e quindi là trovò il necessario per restaurare l’opera. Insieme a quella nella saletta Gonnelli, comparivano Dinamismo di un corpo umano e l’imponente Mate ria . La critica snobbò la mostra, visitata anche da signore che si presentavano con l’intenzione di deridere i lavori (e che venivano ferocemente attaccate con insulti da Boccioni) con l’eccezione di due visitatori di eccezione; Theodor Däubler e Roberto Longhi, che pubblicò con i tipi de «I quaderni della voce» il volumetto Scultura futurista di Boccioni . A Primo Conti, diventato suo factotum e accompagnatore a Firenze, Boccioni chiese proprio di andare alla Galleria dell’Accademia a rivedere I Prigioni di Michelangelo, a cui rese omaggio, malgrado le frasi fiammeggianti di pochi mesi prima. Così ricorda Conti: «Ehi! Ehi, Michelangelo se fosse vivo oggi sarebbe futurista!. E mi faceva notare tutto il dinamismo che c’era nei Prigioni , dove ogni forma che si svincola dalla pietra gli appariva come sublime anticipazione di quelle che lui chiamava linee-forza». Come tutti i momenti capitali di una vita, il giovane artista, destinato ad avere da subito una vasta approvazione, e non pochi ripensamenti seguenti sulla sua arte, testimoniate dalle esposizioni in corso, si scordò a lungo di questo momento capitale. «Quella esperienza memorabile, e così fuori misura per un ragazzo, non ebbe subito effetti clamorosi. Soltanto molti anni più tardi, quando vennero fuori dal dimenticatoio i miei quadernini di quegli anni, si vide come tante cose che premevano dal profondo del mio essere, non sarebbero sbocciate se quel mio incontro con l’arte di Umberto Boccioni non ci fosse stato».
Fonte: Corriere Fiorentino, https://corrierefiorentino.corriere.it/