Stefano Folli
Paolo Savona ha scosso la giornata con il suo richiamo al «cigno nero», all’eventualità estrema che siano altri a decidere di spingere l’Italia fuori dall’euro. Il suo appello («prepariamoci») e quell’insistenza nel sottolineare che il collega Tria non è libero di dire tutto quello che pensa in quanto «terrorizzato» d’essere risucchiato nella crisi testimoniano della franchezza intellettuale del ministro per gli Affari europei, ma come è ovvio hanno sparso nervosismo a macchia d’olio. Si capisce — non è una novità — che Savona non ha alcuna intenzione di essere meramente decorativo. Le sue competenze non sono quelle del ministro dell’Economia o degli Esteri, ma quelle che gli rimangono egli intende usarle senza troppi riguardi. E l’annunciato incontro con il presidente della Bce è un altro segnale da non sottovalutare. Ne deriva che la prudenza di Tria, attitudine di cui il responsabile di Via XX Settembre ha dato prova ancora ieri all’assemblea dell’Abi, potrebbe non bastare a contenere le spinte che si sprigionano dall’interno della maggioranza. E che tornano a sfiorare il tabù: la moneta unica, la possibilità che l’Unione si spezzi a causa delle sue contraddizioni e della sua inerzia politica. Inutile dire che le affermazioni di Savona hanno un po’ cambiato il segno della giornata. L’appuntamento dell’Abi doveva servire a capire qual è l’atmosfera intorno al governo Conte, nonché come intende orientarsi la maggioranza Lega-M5S sui temi scabrosi che riguardano i conti pubblici. Sotto gli occhi di Visco, Tria si era mosso con abilità: senza assecondare la retorica populista più sfrenata, ma nemmeno ricalcando le orme dei suoi recenti predecessori. Con gli spread allargati, egli è alla ricerca di una terza via che sia leale nei confronti di Salvini e Di Maio e al tempo stesso esprima un approccio realista. Non l’austerità degli anni recenti, ma nemmeno un generico allargamento dei cordoni della Borsa. L’idea è promuovere in modo selettivo la spesa per investimenti e così favorire la crescita e l’occupazione. Quanto sia percorribile questo sentiero stretto, non è dato sapere. Come dice Draghi, bisogna aspettare i fatti. Senza dubbio Tria è d’accordo, riconoscendosi nell’invito alla cautela venuto dal governatore della Banca d’Italia. Prudenza, stabilità e riforme innovative: sulla carta, quanto di meglio. Tuttavia le incertezze sono notevoli nell’Italia che oggi darebbe, secondo un sondaggio, ben il 59,5 dei voti alla coalizione giallo-verde (o blu). Il protezionismo, la disunione europea, la debolezza dell’Italia in un contesto sfavorevole… Il «nazionalismo mediterraneo», di cui parla il presidente dell’Abi Patuelli evocando l’Argentina, è un rischio oggettivo che la maggioranza Lega-M5S sembra considerare un’opportunità. E qui è il vero interrogativo. L’establishment bancario è l’ultimo a desiderare che il governo venga destabilizzato. Quindi in condizioni normali una prudente discontinuità sarebbe utile a ricucire un Paese lacerato. Ma non è detto che il duopolio sia della stessa idea. Se le fiammate del primo mese sono finite, allora la linea Tria — che è anche la linea Conte a Palazzo Chigi o Moavero alla Farnesina — è destinata ad avere un futuro. Altrimenti, se a prevalere fosse una spinta quasi “rivoluzionaria”, volta a scuotere l’albero europeo per mostrarne i limiti, allora la vita dei moderati si farebbe difficile. L’uscita di Savona dimostra che esistono questioni molto serie e tutte politiche alla base del rapporto fra l’attuale governo, specie nella componente leghista, e l’Unione.