a pagina 20La politica non può vivere di sola immagine, per non dire di propaganda. È quanto emerge una volta di più dagli ultimi avvenimenti legati al varo del primo decreto del governo Conte. Detto subito che a dispetto di tutte le novità ci si muove nell’ottica consueta dei decreti in cui si affastellano interventi di tipo diverso, appare sin troppo evidente la rincorsa a segnare il territorio da parte di Di Maio dopo che Salvini ha abbondantemente colonizzato il suo.
Se il leader della Lega si è buttato a fidelizzarsi i sentimenti di un elettorato che viene definito di destra, Di Maio punta a quelli di un elettorato che viene ipotizzato come di sinistra. In realtà i due termini sono poco appropriati, perché si tratta piuttosto di due qualunquismi che fanno leva su due diverse percezioni dell’insicurezza. Da parte leghista quella dipendente dall’impatto percepito delle instabilità sociali legate all’immigrazione e al degrado delle relazioni con conseguente sviluppo della microcriminalità. Da parte pentastellata quella che è legata alla percezione di una crisi economica che tocca la disponibilità e certezza dei posti di lavoro, sia sul versante della fine dell’impiego stabile sia su quello del timore che le imprese lascino l’Italia riducendo ulteriormente le possibilità di lavoro. Una analisi approfondita di tutti questi fenomeni richiederebbe interventi ben strutturati, frutto di una conoscenza appropriata non solo dei “titoli” dei vari problemi, ma delle complesse tecnicalità, non solo finanziarie, con cui si devono fare i conti. In un’ottica che ormai si è proiettata per tutti verso la scadenza delle elezioni europee, non c’è spazio per queste finezze e ci si accontenta dell’effetto annuncio, che significa presenza sui media e sui social. Tuttavia si dovrebbe tenere conto che i vari problemi sono facilmente componibili. Una parte almeno dell’elettorato leghista, che è basato nel Nord delle industrie e dell’artigianato, non guarda certo con benevolenza ad interventi come quelli proposti dal decreto Di Maio che sono rozzamente modellati su preconcetti di un sindacalismo che ha fatto il suo tempo. Così una parte almeno dell’elettorato dei Cinque Stelle non si scalda per la prospettiva di stare trent’anni al governo con chi vorrebbe mettersi in Europa a capo di una specie di Lega transnazionale dei populisti. Aspettarsi però una rapida crisi della coalizione giallo-verde può essere prematuro. Certo non manca una concorrenza fra le sue componenti come ha platealmente sottolineato l’assenza dal Consiglio dei ministri del vicepremier Salvini impegnato ad assistere al Palio di Siena o come hanno mostrato, con un certo gioco delle parti, alcune affermazioni del presidente Fico. Tuttavia quella concorrenza non può spingersi oltre un certo limite. Modificare significativamente il decreto durante l’iter parlamentare di convalida comporterebbe mettere in crisi la maggioranza attuale: visti i rapporti numerici fra Lega e Cinque Stelle i primi dovrebbero ricorrere al sostegno di FI ed i secondi risponderebbero probabilmente cercando una stampella a sinistra (LeU ha già fatto aperture in tal senso). Significherebbe però far saltare il governo ed è una prospettiva che al momento non conviene né a Salvini né a Di Maio. Siccome il gioco è quello degli annunci e delle parole, è più che probabile che troveranno quelle opportune per mascherare degli aggiustamenti che facciano comunque apparire tutti vincitori. Anche se sono escamotage che non risolvono nessun problema.
Il Sole 24 Ore – Paolo Pombeni – 04/07/2018 pg. 1www.ilsole24ore.com/