PALERMO. Il capolavoro del Caravaggio, la “Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi”, non è andato distrutto dopo il furto del 1969, a Palermo. Come aveva detto il pentito Francesco Marino Mannoia al giudice Falcone, come ha ribadito di recente uno degli ultimi pentiti di mafia, Gaspare Spatuzza. La “Natività” è ancora nascosta da qualche parte, all’estero. Però, forse, è stata scomposta in sei o otto pezzi. È una verità che ridà speranza, ma allo stesso tempo angoscia, quella messa a verbale da un vecchio mafioso pentito, Gaetano Grado, che ha fatto un lungo racconto alla commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi. E, oggi, quel verbale si può leggere per la prima volta, le rivelazioni del collaboratore sono nella relazione finale dell’Antimafia, che verrà discussa nel pomeriggio.
Grado racconta che “già nel 1970 il capo della Cupola, Gaetano Badalamenti, curò il trasferimento del quadro all’estero, verosimilmente in Svizzera, dietro il pagamento di una grossa somma in franchi”. Don Tano Badalamenti, il padrino dei “cento passi” di Cinisi, che anni dopo decretò la morte di Peppino Impastato, il giovane attivista che lanciava le sue denunce dai microfoni di Radio Aut. “Badalamenti mi disse che verosimilmente il quadro era stato scomposto per essere venuto sul mercato clandestino”. È un racconto preciso quello del pentito che ha già segnato una svolta nell’inchiesta sul Caravaggio. Grado ha riconosciuto in fotografia l’antiquario svizzero che arrivò a Palermo per curare l’affare. L’intermediario è morto da tempo, ma il suo nome è un altro dettaglio prezioso per provare a ricostruire dove sia finito il quadro ormai diventato il simbolo dei segreti di Cosa nostra. Anni fa, un pentito spiegò che il Caravaggio venne esposto anche a una riunione della Cupola, segno di prestigio e di potere. Come quelli di un altro fantasma della mafia siciliana, Matteo Messina Denaro, che sembra diventato imprendibile dal 1993 nonostante le condanne all’ergastolo per le stragi di Roma, Milano e Firenze.
Ora, passato e presente della Cosa nostra che si riorganizza si intrecciano nella relazione dell’Antimafia. Quella tela di 2 metri e 68 per 1,97, è ormai nella top ten degli “Art crimes” stilata dell’Fbi. Insieme, ad alcuni reperti trafugati in Iraq, a uno Stradivari rubato a New York, al Picasso sparito dal museo “Chacara Do Ceu” di Rio De Janeiro. I nostri carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale non hanno mai smesso di cercare il Caravaggio. Un’indagine che dal 1971 al 1994 ha attraversato una decina di rocambolesche trattative in mezza Europa, avviate da “fonti confidenziali” che dicevano di essere ben informate. Poi, nel 1996, sono arrivati i pentiti di mafia, ma parlavano tutti per aver saputo da altri. Grado, no. I carabinieri del “Tpc” hanno avuto l’intuizione giusta puntando sull’ex mafioso di Santa Maria di Gesù, che su questi temi non era stato mai interrogato dalla magistratura. Il pentito, lo stesso che parlò di investimenti del suo capo Stefano Bontate nelle aziende di Berlusconi durante gli anni Settanta, ha raccontato che il furto del Caravaggio maturò “nell’ambiente dei piccoli criminali, ma l’importanza del quadro e il suo enorme valore, subito evidenziato dalla stampa – dice la relazione dell’Antimafia – indussero i vertici di Cosa nostra ad interessarsi immediatamente alla vicenda e a provvedere a rivendicare l’opera”. La “Natività” fu consegnata prima a Bontate, il capo del mandamento competente, poi a Badalamenti.
L’indagine dell’Antimafia ha stretto il cerchio anche sui nomi di alcuni piccoli pregiudicati dell’epoca, sospettati di aver rubato l’opera nell’oratorio di San Lorenzo; i documenti con i loro nomi e il verbale di Grado verranno inviati alla procura di Palermo: l’accusa di furto è ormai prescritta, ma bisogna proseguire le ricerche, ogni dettaglio è prezioso. Rosy Bindi auspica una “cooperazione a livello internazionale, per seguire tutte le tracce”.