Un giorno nei panni di mia figlia (con montale).

Caro direttore,

in questi ultimi giorni, dopo aver letto i giornali, ho cercato di mettermi nei panni di mia figlia di 16 anni che frequenta il liceo classico. Ho visto foto che documentano donne, uomini e bambini lottare nell’inferno della miseria e perdere la vita in mare. Si è parlato di clonazione, e possiamo solo immaginare le conseguenze nel futuro dell’umanità; del connubio tra scienza e volontà di potenza e di limiti etici; di urgenze ecologiche e dei ritardi nell’assumere decisioni drastiche; di innovazione sempre più spinta sul fronte dell automazione e dell’intelligenza artificiale; di instabilità nel mondo del lavoro e di ritardi nella competizione. Non sono mancate le buone notizie, ma queste non urlano per farsi sentire. Tutto questo accade mentre molti politici si preoccupano più che altro — almeno agli occhi dei nostri ragazzi — di rafforzare la propria posizione in Parlamento con una poltrona sicura per altri 5 anni almeno.

I giovani cittadini non sono confusi o delusi, dato che non sono sciocchi o disinformati. Tutt’altro. Stanno solo cercando di capire come «rivoluzionare» partiti e politiche per sentirsi ancora parte della società e del mondo, per essere responsabili e dare prova di impegno. La gioventù non può non sentirsi rivoluzionaria e progressista. Non vuole e non può riconoscersi nelle reazioni conservatrici. Il futuro, come il passato, appartengono già a loro, ma loro tante volta non si ritrovano in questo presente in cui — ai loro occhi — predominano interessi di parte e difesa a oltranza di privilegi e rendite di posizione. Certi movimenti senza ideologie, certe aggregazioni convulse, hanno già deluso. Però a nulla vale dire che il fine giustifica i mezzi per sostenere certe scelte politiche. I nostri ragazzi hanno letto Machiavelli e lo interpretano correttamente.

Che fare? Dobbiamo sentire e vivere nel nostro corpo e nella nostra anima le loro reazioni psicologiche e spirituali per comprenderli veramente. In modo da rispondere al loro cuore e alla loro mente così aperta, evitando stanche formule e retoriche strumentali al consenso e al reclutamento. Questi giovani non sono percentuali. Ognuno per sé è un grande miracolo, sono persone molteplici non omologabili. Sono, e non vogliono non essere. Proviamo, allora, a immaginare e introiettare quali pressioni, quanta agitazione turbi la loro crescita e ne condizioni l’espansione, quali sentimenti — anche rabbiosi o isterici o di depressione — appesantiscano il loro corpo e spirito in una fase della vita in cui dovrebbero mettere le ali ai piedi e vincere lo sguardo di Medusa. Mia figlia mi ha confidato che in questo momento della sua esistenza porta con se pochi versi di Eugenio Montale che valgono per lei come faro nella notte: «Ah l’uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l’ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo» . Nell’ultimo verso trova sicurezza. Ecco un messaggio dal mondo dei nostri figli, dall’universo del domani. Un luogo pieno di speranze e di sogni, di ideali e di utopie, dove vivono oggi molte ragazze e ragazzi decisi a sconfiggere paure e mostri, il male che prende oggi le forme del razzismo e dello sperpero, dell’ingiustizia e dell’ineguaglianza. Spero che questa lettera di padre possa servire a noi e a loro in questi giorni di sconcerto e di preoccupazione.

Sergio Risaliti

 

 

Giovedì 1 Febbraio 2018, Corriere Fiorentino.

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