La troika è morta». Così ha detto Alexis Tsipras, leader di Syriza e nuovo primo ministro della Grecia. Saranno in tanti ad essere d’accordo con lui, anche se, in molti casi, per motivi diversi dai suoi.
Quando, nell’Europa di oggi, si dice «troika», ci si riferisce ovviamente al Fondo monetario internazionale (Fmi), alla Banca centrale europea (Bce) e alla Commissione europea, le tre istituzioni che, insieme, hanno negli ultimi anni condotto e guidato le operazioni di salvataggio degli Stati europei travolti dalla crisi finanziaria, imponendo ricette di risanamento e austerità.
È contro queste politiche che Alexis Tsipras ha costruito la propria vittoria. Di tutto questo, di ciò che Syriza (e non solo Syriza) respinge e vuole cambiare, la troika è diventata il simbolo. Saranno in pochi a difenderla così com’è.
Giusto una decina di giorni fa, ad esprimersi contro la troika, o, per essere più precisi, contro la sua composizione, è stato l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Pedro Cruz Villalón era chiamato ad esprimersi su un ricorso della Corte costituzionale tedesca che aveva contestato la legittimità di un programma di acquisto di titoli del debito pubblico degli Stati dell’eurozona da parte della Bce sostenendo che, così facendo, la Banca avrebbe invaso il campo riservato ai governi.
Ebbene, l’avvocato generale della Corte aveva sì concluso che il programma era «legittimo e conforme alla politica monetaria», ma, con un significativo «tuttavia», aveva aggiunto che «perché questo mantenga il suo carattere di misura di politica monetaria la Bce dovrà astenersi dal partecipare direttamente al programma di assistenza finanziaria applicato allo Stato interessato».
Se lo giudica indispensabile, la Bce, dunque, compri pure titoli pubblici degli Stati dell’euro, ma ad evitare che la sua azione si traduca in qualcosa di più di un semplice «appoggio» alla politica economica, lasci ad altri il compito di dettare e guidare i programmi di intervento.
Per quanto riguarda la Banca centrale europea, quindi, addio alla troika.
E, sia detto tra parentesi, quasi certamente addio anche a lettere come quella inviata nell’estate del 2011 dall’allora presidente della Banca centrale europea Trichet al presidente del Consiglio Berlusconi e al suo omologo spagnolo Zapatero per dettar loro una precisa linea di politica economica. Un passo giustificato dall’emergenza e dal rischio che in quel momento correva l’intera costruzione dell’euro, ma un atto con il quale la Bce andò assai vicina a superare i limiti del proprio mandato, ristretto alla politica monetaria.
Nessuno pensi che a Francoforte, sede della Banca, si verseranno lacrime alla prospettiva di ritirarsi dalla troika. L’ultimo giorno dell’anno appena trascorso, Peter Praet, autorevole membro del Comitato esecutivo della Bce, in un’intervista al quotidiano tedesco Borsen-Zeitung , interrogato sulla partecipazione della Banca alla troika, aveva risposto così: «Credo che la Banca centrale europea sia stata costretta dalla necessità ad assumere un ruolo che ha portato molta pressione sull’istituzione. L’abbiamo accettato… ma questo non vuol dire che ci piaccia. Direi che è venuto il tempo di una seria riflessione su come noi vediamo nel futuro il nostro ruolo nella troika».
Con la Bce pronta a staccarsi dalla troika, si passerà da un tiro a tre a un tiro a due? Improbabile. Almeno a giudicare da quanto detto da Jean Claude Juncker, il presidente della Commissione europea, lo scorso 22 ottobre, nel suo discorso d’apertura di fronte al Parlamento europeo. «In futuro, dovremmo essere capaci di sostituire la troika con una struttura più democraticamente legittimata, basata sulle istituzioni europee e con un più forte controllo parlamentare a livello tanto europeo quanto nazionale». Detto in parole più chiare, in futuro sarà bene che il Fondo monetario internazionale resti sullo sfondo.
Destinati a sganciarsi tanto la Bce quanto il Fmi, smantellata la troika, chi prenderà il suo posto?
Logica vorrebbe che in avvenire, avvalendosi delle competenze della Bce, del Fmi e della Commissione europea con la stessa Commissione come braccio operativo, fossero il Consiglio europeo, cioè l’insieme dei capi di Stato e di governo dell’Unione Europea, e il Parlamento europeo ad assumersi la responsabilità politica degli interventi.
Questo per il domani. Intanto, però, e da subito, c’è da governare il caso Grecia.