La Nota
Nessuno poteva prevedere che la Commissione parlamentare di inchiesta sulle banche potesse diventare una lente di ingrandimento sulla cerchia toscana del Pd. Non, almeno, con i contorni delle ultime ore. La figura della sottosegretaria a Palazzo Chigi, Maria Elena Boschi, con i suoi incontri per «informarsi» su Banca Etruria, rimane il simbolo del pasticcio politico-bancario. Ma appare meno centrale di quanto i suoi avversari sostengano, chiedendone le dimissioni; e di quanto affermano i pochi alleati, parlando di montatura delle opposizioni. In realtà, emerge un mondo nel quale il confine tra politica e amicizie si confonde. Così, il manager Marco Carrai, amico di Matteo Renzi, può a ragione essere definito estraneo al Pd da parte del capogruppo alla Camera, Ettore Rosato. E Carrai può pure sostenere che la sua email all’allora amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, era per conto di un cliente e non del governo; e minacciare querele. Rimane il problema del sodalizio col segretario dem. E questo rende difficile divincolarsi dai sospetti e dalle accuse, seppure strumentali, rovesciatigli addosso dagli avversari. Ma la vittima è il Pd. Vittima paradossale, perché ha preparato o comunque permesso di preparare la trappola della Commissione di inchiesta. E ha avallato una strategia suicida di attacco, senza calcolare il pericolo del caso Banca Etruria: vicenda tutto sommato secondaria, eppure decisiva per il coinvolgimento del cosiddetto «giglio magico» intorno al vertice dem. Dopo i particolari emersi dall’audizione di Ghizzoni e, prima, di altri esponenti delle istituzioni finanziarie e bancarie, il gruppo renziano si definisce sicuro che le cose siano state chiarite per il meglio. Ma il tema ormai non sono gli insulti di M5S o Lega, o gli inviti alle dimissioni da parte di Liberi e uguali. Il tema è diventato forse soprattutto il rapporto tra il partito e il suo vertice. Dilemma complicato, perché la nomenklatura dem ha appaltato a Renzi e ai suoi la strategia, le priorità da affrontare, i rapporti con il potere economico. E ha rinunciato a esprimere dubbi e riserve, nel nome di una compattezza di facciata che la scissione doveva rinsaldare e non incrinare. A questo punto, emerge un intreccio dal quale il Pd ora cerca di emanciparsi. A guardar bene, il «Carrai non c’entra niente col Pd», detto da Rosato, è l’emblema del tentativo di divincolarsi dal sottobosco renziano. E, in parallelo, certifica la difficoltà di farlo senza intaccare anche la leadership del segretario. A radicalizzare il problema sono elezioni politiche previste tra due mesi e mezzo. L’idea che in così poco tempo si smorzino le polemiche, per quanto gonfiate, è pura illusione. E la speranza di qualcosa in grado di rilanciare il Pd, magari grazie al governo Gentiloni, diventa un atto di fede.
Corriere della Sera – Massimo Franco – 21/12/2017 pg. 6 ed. Nazionale.