Nella Monaco di Franz von Stuck, alla fine dell’Ottocento, si costituì il primo movimento secessionista in polemica con le vecchie istituzioni accademiche. Dalla capitale bavarese il dibattito si allargò a Berlino e in particolare a Vienna, dove la sfida ai circoli accademici si manifestò non solo nell’approccio multidisciplinare dell’arte, ma anche nella liberazione sessuale: le conturbanti figure femminili di Gustav Klimt, adorne di panneggi geometrizzanti, lapislazzuli e ori trionfanti, si rispecchiavano nel lusso della cupola dorata del Palazzo della Secessione di Joseph Maria Olbrich su cui si poteva leggere “A ogni epoca la sua Arte a ogni Arte la sua Libertà”.
Nella Praga magica, invece, gli artisti boemi del gruppo Sursum, di cui fecero parte fra gli altri Josef Vá́chal e Jan Konůpek, seppero trovare, in particolare nell’ambito della grafica, una via alternativa al generale gusto europeo segnato dalle fluenze art nouveau, mentre a Roma, in un periodo percorso da fremiti nazionalisti e trasformazioni del gusto, la Secessione, attiva fra il 1912 e il 1916, trovò il modo far coesistere ardite sperimentazioni con le ultime propaggini di uno stile chiuso in se stesso.
Quattro città – Monaco, Vienna, Praga, Roma –, quattro maniere di percorrere la via della modernità come “presagio di qualcosa di immensamente più grande”.