IL DOSSIER CHE AVVELENA LE ELEZIONI.

 

Pierluigi Boschi, padre della sottosegretaria Maria Elena e vicepresidente di Banca Etruria, non partecipò alle riunioni degli organi dirigenti che deliberarono i finanziamenti che poi portarono l’istituto alla bancarotta. E la Banca d’Italia, prima di procedere al commissariamento, valutò l’eventualità di far fondere Etruria con la Popolare di Vicenza, anche questa traballante e poi finita malissimo. Nella seduta clou della commissione d’inchiesta, dedicata al più spinoso – per implicazioni politiche – e recente crac bancario, e concentrata sull’audizione del procuratore della Repubblica di Arezzo Rossi, il Pd ha segnato due punti a suo favore: ha visto sostanzialmente scagionato dalle accuse più gravi papà Boschi, bersaglio delle opposizioni per la presenza al governo della figlia, prima come ministra delle Riforme e adesso come sottosegretaria alla presidenza del Consiglio; e ha ascoltato le perplessità («Ci è sembrato un poco strano») del magistrato responsabile delle indagini su Etruria rispetto al comportamento di Bankitalia, che prima di procedere al commissariamento avrebbe incoraggiato la fusione tra due banche afflitte dagli stessi problemi e finite entrambe in liquidazione. Il caso Etruria è la ragione per cui è nata la commissione parlamentare, con l’obiettivo di far luce sulla truffa ai piccoli risparmiatori raggirati e in parte risarciti dal governo. Renzi (che a fine ottobre, per questo, aveva osteggiato in Parlamento, senza però trovare ascolto dal governo né dal Presidente della Repubblica, la riconferma del Governatore Visco) ha sempre puntato a dimostrare che quanto è avvenuto è dipeso dalle carenze della Vigilanza di Bankitalia e della Consob, che nel corso dei lavori parlamentari si sono difese anche scaricandosi vicendevolmente le colpe. Le opposizioni, e soprattutto il Movimento 5 stelle, miravano invece sulla Boschi e sul governo presieduto dal leader del Pd. Ieri, per quanto il presidente Casini si sia adoperato per tenere il lavoro dei parlamentari entro i canoni di un’inchiesta parlamentare, la durezza dello scontro politico tra il 5 stelle Sibilia e i membri renziani della commissione ha confermato che non sarà facile chiudere il dossier Etruria e il tema banche resterà caldo per tutta la campagna elettorale. Sibilia ha cercato di incalzare il procuratore Rossi su Boschi padre, mentre la delegazione Pd, capeggiata dal presidente del partito Orfini, ha sottolineato, parlando di «fallimento», le presunte carenze di Banca d’Italia, che in serata a sua volta con un comunicato ha precisato di non aver mai sostenuto la fusione tra Etruria e Popolare di Vicenza. A questo punto il lavoro della commissione d’inchiesta volge al termine, visto che anche la legislatura, dopo l’approvazione della legge di stabilità e della legge sul testamento biologico, si chiuderà a cavallo di fine anno. Ma prima della conclusione arriverà l’audizione-chiave di Visco, chiamato a chiarire il ruolo di via Nazionale di fronte a quanto è emerso via via dall’inchiesta parlamentare. In quell’occasione si capirà se nella relazione finale (o nelle relazioni, perché potrebbero essere più di una, di maggioranza e di minoranza) della commissione a prevalere sarà la linea di difesa dell’Istituto di emissione: aver fatto il possibile, con più di 75 interventi diretti e liquidazioni di banche nel corso dei lunghi anni di crisi, scontando le reticenze degli amministratori infedeli, alcuni dei quali, come ad esempio proprio i vertici della Popolare di Vicenza, nascondevano agli ispettori della Vigilanza i documenti comprovanti lo stato di dissesto dei propri conti e i finanziamenti oggetto di accordi obliqui con clienti semifalliti. Oppure se ad averla vinta sarà lo schieramento dell’accusa, con in prima linea il Pd renziano, che contesta a Visco la responsabilità dei danni subiti dai risparmiatori, attratti fraudolentemente a investire in titolispazzatura, da banche che approfittavano della fiducia dei loro correntisti, e secondo Renzi Bankitalia avrebbe dovuto fermare in tempo.
La Stampa.
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