La ruggine di destra e sinistra.

di Angelo Panebianco

Abbiamo bisogno di criteri diversi da quelli che si usavano un tempo per orientarci di fronte ai dilemmi della politica. Per capirlo facciamo alcune ipotesi sull’Italia. La prima è che la legge elettorale attualmente in vigore (proporzionale pura) non cambi. In tal caso, anche l’accordo pre-elettorale che Berlusconi e Salvini sembrano avere ora siglato, potrebbe non resistere a lungo (resisterebbe se ci fosse la riforma elettorale perché essa imporrebbe loro di allearsi in una parte dei collegi, quelli uninominali, che il nuovo sistema prevede). Se resterà la proporzionale pura, le coalizioni di governo, quali che siano gli impegni pre-elettorali, si decideranno dopo il voto. Tenuto anche conto che i sondaggi per lo più sottorappresentano i partiti antisistema, non sarebbe quindi inverosimile ipotizzare, dopo le elezioni, un governo 5 Stelle/Lega. Non è un esito probabile (altre formule di governo sono più probabili di questa) ma possibile sì. Al momento, è solo uno scenario che ipotizziamo al fine di saggiare la validità dei criteri di giudizio comunemente utilizzati per interpretare la politica. Bisognerebbe capire, nell’eventualità di un governo 5 Stelle/Lega, quale sarebbe il giudizio di coloro che continuano a pensare la politica come se i conflitti del XXI secolo fossero solo una continuazione di quelli del XX: coloro insomma che credono che l’unica cosa che conti in politica sia distinguere la «sinistra» dalla «destra».

C ome giudicherebbero un governo 5 Stelle/Lega? Di destra oppure di sinistra? A quali elucubrazioni dovrebbero ricorrere per usare queste categorie senza sentirsi ridicoli? Qualcuno dirà: ha senso preoccuparsi di cosa penserebbero costoro? Sì, perché in politica non contano solo i «fatti» — per esempio, le decisioni che vengono prese o non prese — ma anche le interpretazioni di quei fatti quando esse assurgano a «verità» condivise da tanti.

Ammesso (e concesso solo in parte) che la distinzione destra/sinistra servisse a qualcosa nel XX secolo, il suo uso per interpretare i conflitti del XXI secolo confonde, disorienta. Ad esempio, ci sono quelli che sono filorussi perché la Russia è l’erede dell’Unione Sovietica e, come l’Urss, si contrappone agli Usa. Poiché un tempo essi pensavano che fosse «di sinistra» stare con i sovietici contro gli americani, con la patria del socialismo contro il capitalismo, pensano anche che sia loro dovere stare con gli eredi di quella esperienza. Si dà il caso però che in quelle lande il socialismo (qualunque cosa fosse) di sicuro non ci sia più, e che i russi abbiano dato vita a una combinazione di democrazia illiberale e di capitalismo autoritario. C’è un solo elemento di continuità con il passato: quella forma di «dispotismo asiatico» per il quale lo Stato è tutto e il suddito esiste in funzione dello Stato che c’era al tempo degli zar come dei bolscevichi, e che Putin, dopo il caos in cui sprofondò il suo Paese negli anni 90, ha cercato di ripristinare. Vedete quanti danni riesce ancora a fare la distinzione destra/sinistra?

Come orientarsi allora? Come giudicare un eventuale governo 5 Stelle/Lega? Cominciamo col dire che un tale governo non sarebbe, come gli avversari lo dipingerebbero, «antidemocratico». 5 Stelle e Lega sono partiti democratici nel senso che hanno bisogno della legittimazione e dell’appoggio del demos , del popolo. Governo antidemocratico no ma illiberale di sicuro. Sarebbe cioè pronto a calpestare, in nome di un interesse superiore, vari diritti individuali di libertà (come fa Putin). Non sono le (probabilmente inesistenti) propensioni antidemocratiche di questi partiti a preoccupare, sono le loro propensioni illiberali.

Se le categorie destra e sinistra non servono, quale altra bussola utilizzare? Può aiutare la distinzione fra amici e nemici della società aperta (o libera). Non se ne parlerà nella prossima campagna elettorale. Si discuterà di tutto tranne che dell’essenziale. Ciò che rende plausibile (numeri e sistema elettorale permettendo) un governo 5 Stelle/Lega è il fatto che questi due gruppi, pur diversi per vari profili, sono accomunati dalla ostilità per la società aperta. C’è coerenza nel fatto che essi siano al tempo stesso fautori del protezionismo economico (così si spiega la loro comune ostilità per il Ceta, l’accordo di libero scambio fra Unione europea e Canada che il nostro Parlamento dovrebbe prima o poi ratificare) nonché pronti a spostare l’asse della politica estera in senso filorusso (Di Maio e Salvini hanno fatto inequivocabili dichiarazioni in tal senso). La coerenza sta nel fatto che entrambe le scelte, protezionismo economico e alleanza con i russi, implicherebbero uno spostamento dell’Italia dalla condizione di società (più o meno) aperta a quella di società chiusa. Ostilità al libero mercato e convergenza con una potenza neo-mercantilista (nel senso che lo Stato russo controlla e indirizza il commercio in funzione delle sue esigenze politiche) sono più che compatibili: anzi, sono indispensabili l’una all’altra. Si tratterebbe di una operazione oggi facilitata dalla presenza di Trump alla Casa Bianca e dalle sue (fin qui più esibite che attuate) velleità protezioniste. Una società chiusa come quella prefigurata dai discorsi e dalle scelte di quei partiti sarebbe democratica e illiberale.

Vero è il fatto che essi non avrebbero la vita facile. Nonostante gli auspici di alcuni l’Italia non è l’Argentina di Perón né il Venezuela di Chávez. È integrata nell’economia internazionale e membro della Ue e della Nato. I nemici della società aperta, ancorché numerosi, dovrebbero confrontarsi con avversari altrettanto numerosi e tenaci. Più probabile di una vittoria degli uni o degli altri è lo stallo, un precario equilibrio delle forze. Il sistema elettorale proporzionale, dicono molti, servì la democrazia all’epoca del confronto fra comunisti e anticomunisti. Forse no. Oggi, come allora, obbligherà alla convivenza forze fra loro incompatibili.