Le astensioni dal lavoro nel trasporto pubblico suscitano sempre riserve, perché più del «padrone» colpiscono quelli un tempo erano chiamati signori viaggiatori. Eppure lo sciopero dei ferrovieri toscani per protestare contro l’aggressione a una collega merita rispetto, perché il ripristino della legalità sui regionali è interesse di tutti, dei capitreno come dei passeggeri onesti, che con il loro biglietto pagano anche per i portoghesi, magari violenti.
La prodezza di due teppistelle che hanno rotto il setto nasale e una costola a una loro quasi coetanea colpevole di fare il suo dovere è qualcosa di più d’un campanello d’allarme. A prescindere dal sesso e dall’etnia dei responsabili, i mattinali degli ospedali registrano uno stillicidio di aggressioni nei confronti del personale viaggiante tale da produrre assuefazione. C’è il rischio di veder insegnare nelle redazioni che un passeggero abusivo che aggredisce un controllore non fa notizia, come un tempo si diceva del cane che morde un uomo.
Chi scrive, abituato ad andare in treno da quando i regionali si chiamavano ancora accelerati (o, in caso di ritardi, «scellerati»), può vantare una lunga esperienza dalle ultime «Littorine» ai Minuetto ed è il primo a riconoscere che il confort è migliorato con la climatizzazione. Alla riqualificazione delle vetture ha fatto però riscontro un degrado dei frequentatori. Si parte dall’accattonaggio molesto allo stridulo bla bla di vagoni divenuti una moderna versione della torre di Babele, dai borsoni degli ambulanti che invadono i corridoi ai turisti stranieri che occupano i sedili con le loro enormi valigie mentre i viaggiatori sono in piedi. E sono i casi meno gravi. C’è anche la ragazza costretta a spostarsi da un sedile all’altro in un vagone vuoto perché un extracomunitario si siede accanto a lei per farle proposte, ci sono le gang che spadroneggiano, da Montecatini in poi, sull’ultima corsa da Firenze a Viareggio. Anche per questo molte donne evitano il treno e sono stati soppressi tanti storici espressi della notte, dal Conca d’Oro al Roma-Nizza.
È interessante notare il diverso comportamento dei capitreno. C’è chi tenta di applicare il regolamento e cerca di fare la contravvenzione, chi più pragmaticamente fa scendere alla prima stazione i portoghesi chiaramente insolvibili, chi telefona alla Polfer e al 113, specie quando si trova di fronte a gruppi minacciosi. Ma in questo caso il suo zelo rischia di attirargli oltre alle vendette degli interessati le rampogne dei superiori, come confidò a chi scrive una capotreno. L’intervento della Polizia provoca un ritardo al convoglio, che incide sulle statistiche sulla puntualità: la tutela della legalità fa fare brutta figura a Trenitalia.
Molto spesso il capotreno non passa: è da solo, deve affiancare il macchinista, a quasi ogni fermata deve fare anche da capostazione. Oppure, semplicemente, è stanco, non solo fisicamente. È stanco di fare multe che nessuno pagherà, stanco di sentirsi accusare di «discriminazione» se chiede il biglietto a un extracomunitario o di sentire gli italiani lamentarsi perché devono pagare «anche per quegli altri». O magari d’inseguire sui vagoni a due piani lo studentello che ha speso i soldi per l’abbonamento nella scheda per il cellulare. È stanco di un lavoro che paga lo scotto di tutte le professioni che richiedono l’esercizio dell’autorità in un mondo nel quale l’autorità è guardata con sospetto.
È onesto aggiungere che anche le Ferrovie qualche responsabilità ce l’hanno. Hanno ridotto per mero calcolo economico il personale viaggiante, senza valutare i costi indotti dall’assenza di controlli. Se fino al 2000 una volta saliti «in carrozza» era normale vedersi punzonare il biglietto, è subentrata una fase in cui le verifiche erano divenute un optional, un po’ come quando sugli autobus quarant’anni fa scomparvero i bigliettai. Finita l’era del «denaro contante, tessera alla mano», i portoghesi dilagarono. Poi sia l’Ataf sia le Ferrovie sono corse ai ripari, ma tardi.
In una terra in cui si elogiano gli onesti ma si invidiano i furbi, sono in troppi a percepire l’abuso come un diritto, da difendere magari con le vie di fatto, come purtroppo è accaduto a Prato.
- Mercoledì 20 Settembre, 2017
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