L’intervista. Fra Patton: “I miei frati usano il calcio per tenere i bimbi lontano dalla jihad”
RIMINI. Al meeting di Comunione e Liberazione, Fra Francesco Patton, Custode francescano di Terra Santa, lo dice con franchezza: «In otto secoli noi francescani abbiamo avuto duemila martiri in Palestina, Siria, Giordania. Non siamo ingenui.
Sappiamo però che il dialogo è l’unica strada per evitare lo scontro di civiltà. Anche san Francesco, nel 1219, incontrò e dialogò con il sultano. Ma è innanzitutto dall’interno dell’Islam che deve venire la ribellione al fondamentalismo».
Padre Patton, i musulmani di Barcellona prendono le distanze dal fondamentalismo.
Come si spiega allora la radicalizzazione? «Bisogna capire se davvero la religione è la motivazione reale della guerra. Lo scontro del Medio Oriente, ad esempio, è tutto interno all’Islam, tra sunniti e sciiti».
Ma è la religione a fare da sfondo. Come si esce da quella logica? «Dall’esterno possiamo incidere poco. È invece dall’interno del mondo musulmano che può e deve venire la spinta al cambiamento. Penso che questo sia un compito delle autorità religiose e delle istituzioni culturali. È accaduto così anche nel mondo cristiano. La spinta al rinnovamento del Concilio Vaticano II è venuta dall’interno della Chiesa. Solo dall’interno può maturare una concezione dell’Islam che ripudi la guerra». Quando i francescani sono arrivati in Palestina era in corso la quinta Crociata. Difficile giudicare le guerre sante altrui..
«Lo so. Ma se ci combattiamo a colpi di rivincite storiche non se ne esce più. Dopo il 622 i musulmani si sono diffusi con la guerra e sono arrivati fino a Poitier». Lei governa spiritualmente una vasta regione che comprende anche la Siria, l’epicentro della formazione dei terroristi. Come vivono i cristiani in quelle terre? «La situazione siriana è drammatica. Ad Aleppo la comunità dei cristiani era di 300mila persone, oggi è ridotta a 30mila. Una decimazione. In tutta la Siria i nostri frati sono 15». Quali rapporti avete con l’islam radicale? «In quelle aree è naturalmente molto difficile avere un rapporto. Ci sono dei tentativi di dialogo anche per tutelare in qualche modo la popolazione cristiana. Un frate mi ha recentemente raccontato di essere riuscito ad entrare in contatto con i figli di una famiglia radicalizzata utilizzando un semplice pallone da calcio. Come all’oratorio. Ma è terribilmente difficile». Dica la verità: lei ha paura? «Come tutti. Di questi tempi la paura è globalizzata».
Sappiamo però che il dialogo è l’unica strada per evitare lo scontro di civiltà. Anche san Francesco, nel 1219, incontrò e dialogò con il sultano. Ma è innanzitutto dall’interno dell’Islam che deve venire la ribellione al fondamentalismo».
Padre Patton, i musulmani di Barcellona prendono le distanze dal fondamentalismo.
Come si spiega allora la radicalizzazione? «Bisogna capire se davvero la religione è la motivazione reale della guerra. Lo scontro del Medio Oriente, ad esempio, è tutto interno all’Islam, tra sunniti e sciiti».
Ma è la religione a fare da sfondo. Come si esce da quella logica? «Dall’esterno possiamo incidere poco. È invece dall’interno del mondo musulmano che può e deve venire la spinta al cambiamento. Penso che questo sia un compito delle autorità religiose e delle istituzioni culturali. È accaduto così anche nel mondo cristiano. La spinta al rinnovamento del Concilio Vaticano II è venuta dall’interno della Chiesa. Solo dall’interno può maturare una concezione dell’Islam che ripudi la guerra». Quando i francescani sono arrivati in Palestina era in corso la quinta Crociata. Difficile giudicare le guerre sante altrui..
«Lo so. Ma se ci combattiamo a colpi di rivincite storiche non se ne esce più. Dopo il 622 i musulmani si sono diffusi con la guerra e sono arrivati fino a Poitier». Lei governa spiritualmente una vasta regione che comprende anche la Siria, l’epicentro della formazione dei terroristi. Come vivono i cristiani in quelle terre? «La situazione siriana è drammatica. Ad Aleppo la comunità dei cristiani era di 300mila persone, oggi è ridotta a 30mila. Una decimazione. In tutta la Siria i nostri frati sono 15». Quali rapporti avete con l’islam radicale? «In quelle aree è naturalmente molto difficile avere un rapporto. Ci sono dei tentativi di dialogo anche per tutelare in qualche modo la popolazione cristiana. Un frate mi ha recentemente raccontato di essere riuscito ad entrare in contatto con i figli di una famiglia radicalizzata utilizzando un semplice pallone da calcio. Come all’oratorio. Ma è terribilmente difficile». Dica la verità: lei ha paura? «Come tutti. Di questi tempi la paura è globalizzata».
La Repubblica – PAOLO GRISERI – 21/08/2017 pg. 7 ed. Nazionale.