IL FUNERALE DELLA SINISTRA!

Le ragioni della Svolta fiscale

Da più parti sono stati avanzati dubbi e rilievi sulla reale capacità di Matteo Renzi di implementare la strategia anti-tasse annunciata sabato scorso. Anche il Corriere ne ha scritto con Daniele Manca
e sicuramente il dibattito
di policy avrà tempo
e modo di dispiegarsi. Commetteremmo però un peccato di omissione se non aprissimo una riflessione parallela sugli slittamenti di cultura politica, perché pur senza scomodare il povero Copernico la mossa di Renzi segna una forte discontinuità. Le socialdemocrazie europee hanno un bisogno estremo di sparigliare, vista l’acclarata incapacità di elaborare una piattaforma politica per il dopo austerity e la totale irrilevanza fatta registrare nella recente crisi dei rapporti con la Grecia. Senza il Welfare state espansivo e senza l’economia mista le sinistre del Continente, come ha messo in evidenza in un suo libro Giuseppe Berta, sono pesci fuor d’acqua.
Renzi a modo suo, sfoggiando il solito atteggiamento da pugile spaccone, tenta di sfuggire alla maledizione delle socialdemocrazie del XXI secolo e sostiene che la sinistra non può vincere senza fare i conti con la questione fiscale. È facile sottolineare che nella
svolta milanese di Renzi
c’è tanto di politique politicienne , voglia di occupare il centro e di rubare il tempo a una destra in fase di ristrutturazione. È un’analisi corretta così come è sensato sottolineare che il segretario del Pd riprende e rimodula parole d’ordine berlusconiane.

M a forse vale la pena andare più in profondità e tentare di cogliere tutte le valenze della svolta. Personalmente ne ho rintracciate tre. Renzi finora è stato attento ai grandi interessi e si è speso molto per attrarre le multinazionali, non ha fatto però breccia nel ceto medio produttivo. Anche il pacchetto fiscale appena approvato (come sottolineato da Maurizio Sacconi) risente di questa impostazione e in qualche modo rimanda alle calende greche il confronto con le partite Iva e il popolo che si sente oppresso dal Fisco. È chiaro che chi aspira a comandare stabilmente la scena politica non può fare a meno del consenso dell’Italia diffusa e Renzi ne prende atto.
La seconda novità sta nell’analisi dei caratteri della recessione italiana o meglio della difficoltà a ripartire. Non finiremo mai di ringraziare le imprese che a colpi di export hanno salvato il Paese ma per far davvero risalire il Pil c’è bisogno di muovere la domanda interna. E se ci si mette su questa lunghezza d’onda si incontra subito il tema del mattone e dell’immobiliare. La tassazione sulla casa da noi colpisce il risparmio delle famiglie, genera in loro una sensazione di profonda incertezza e contribuisce a ingessare le attività. In altri contesti il meccanismo di funzionamento dell’economia reale è differente, da noi è così. La cultura economica non ha fatto del tutto i conti con questa peculiarità e ha rinunciato a indagarla. Ma è bene che torni sui suoi passi, non per appoggiare Renzi ma per capire meglio il Paese reale.
Il terzo punto è più strettamente politico e riguarda la sfida a Grillo. Alle Europee dello scorso anno il segretario del Pd è riuscito a contenerlo facendo proprio il tema della riduzione dei costi della politica ma il populismo dolce è tutt’al più una tattica elettorale, non una strategia. Del resto la forza di attrazione dei Cinquestelle sembra confermata e di conseguenza Renzi ha capito che non può pensare di eroderla alla Emiliano, invitandoli a governare. Meglio tentare di aprire una falla nella constituency elettorale di Grillo per sfilargli il consenso del ceto medio arrabbiato.
Dario Di Vico