di Matteo Persivale
Il buio oltre la siepe è soltanto un flashback di trecentoquarantanove parole. Il romanzo di Harper Lee da trenta milioni di copie vendute in quaranta lingue attraverso cinquantacinque anni è composto da trecentoquarantanove parole. Non nella sua versione definitiva, quella uscita nel 1960 ma, appunto, nel flashback che in Va’, metti una sentinella (uscito ieri negli Stati Uniti, a novembre in Italia presso Feltrinelli) ne racconta tutta la trama.
La causa che vede un avvocato bianco dell’Alabama razzista degli anni Trenta, Atticus Finch, difendere un nero innocente accusato di stupro da una bianca, è soltanto un dettaglio nel romanzo letto dal «Corriere della Sera» che, con una tiratura iniziale di due milioni di copie, si appresta a battere i record di Harry Potter (le librerie britanniche «Waterstones» confermavano ieri che le prenotazioni del libro di Harper Lee hanno battuto quelle di J. K. Rowling, record assoluto dei 32 anni di vita della catena).
Va’, metti una sentinella è la storia di Jean Louise Finch — la piccola Scout di Il buio oltre la siepe — ormai ventenne, che torna a casa per una breve vacanza da New York, dove vive e sogna di fare la pittrice. Il romanzo non è lunghissimo, 304 pagine nell’edizione cartacea americana. Rappresenta una delle stesure originali di Harper Lee che, nella seconda metà degli Anni Cinquanta, vennero rifiutate dall’editore americano fino alla riscrittura che portò alla versione definitiva, al nuovo titolo Il buio oltre la siepe , alla pubblicazione, con premio Pulitzer e fama mondiale per la sua autrice.
Va’, metti una sentinella non è un brutto libro: è un libro decisamente inferiore al capolavoro poi pubblicato, questo sì. È improbabile che la signorina Lee, in questo mezzo secolo, si fosse decisa a tenerlo in un cassetto se fosse stato un altro capolavoro. È una prima stesura, prima di un editing radicale che l’ha fatto sostanzialmente cestinare prendendo l’unica vera pepita d’oro — quel breve flashback sul processo al nero ingiustamente accusato — e chiedendo a Lee di scrivere tutto il libro su quella storia, facendola raccontare alla piccola Jean (Scout, in Il buio oltre la siepe ).
Non c’è bisogno di scomodare Maxwell Perkins, l’editor più famoso della storia dell’editoria che curò i capolavori di Hemingway, Fitzgerald, Thomas Wolfe (in quest’ultimo caso gli fece tagliare 90 mila parole da Angelo, guarda il passato : l’edizione integrale, uscita nel 2000, è assai inferiore). Basta pensare a libri americani di successo recente come Meno di zero di Bret Easton Ellis (in origine era un libro-monstre di 800 pagine, l’editing di Joe McGinniss l’ha ridotto allo smilzo, spietato grande libro che ha reso celebre il suo autore) e a Le correzioni di Jonathan Franzen (l’autore l’aveva finito quando decise di cestinarlo e ripartire da capo: la versione originale non è mai stata vista dal pubblico): i grandi libri hanno spesso una genesi complicata.
Il problema di Va’, metti una sentinella è che l’eroe di Il buio oltre la siepe , papà Atticus Finch, è un razzista che non vuole i neri nelle scuole dei bianchi, li considera inferiori, attacca la Corte Suprema che negli Anni 50 stava cercando di porre rimedio agli osceni soprusi di cui erano vittima gli afroamericani negli Stati del Sud dell’ex Confederazione che si ribellò a Washington scatenando la Guerra civile Americana (ci volle Lyndon Johnson, successore di Kennedy, nel 1964, per dare ai neri una legge che stabiliva la piena parità di diritti, impresa storica per la quale il presidente texano merita di non essere ricordato unicamente come l’uomo dell’escalation in Vietnam).
Prima di leggere Va’, metti una sentinella bisognerebbe essere capaci di un’impresa impossibile: dimenticare Atticus Finch de Il buio oltre la siepe , dimenticare il volto bellissimo e fiero di Gregory Peck nel film che Hollywood ne ha tratto, dimenticare la nobilità d’animo di quell’avvocato deciso a fare la cosa giusta rischiando la propria vita e quella della propria famiglia. Dimenticare il vicino di casa Boo, recluso in casa, temuto e disprezzato, che in realtà si rivela un eroe dall’animo buono. Dimenticare insomma le lezioni di vita, di umanità e di empatia di quel libro straordinario: perché Va’, metti una sentinella usa gli stessi personaggi per raccontare una storia diversa, una giovane sudista che torna a casa dal Nord progressista e si scontra con una mentalità che le fa orrore: ecco allora Scout insultare suo padre paragonandolo a Hitler dopo una sua filippica contro i neri. Dice Atticus, e davvero non bisogna immaginare queste parole uscire dalle labbra di Gregory Peck, santo laico in abito chiaro e occhialetti di corno: «Cosa succederebbe se a tutti i neri del Sud venissero conferiti pieni diritti civili? Te lo dico io, ci sarebbe un’altra Ricostruzione (quando il Nord vincitore della Guerra civile cercò di forzare per legge i bianchi del Sud a accettare la parità, esperimento che finì rapidamente nell’autodeterminazione dei singoli Stati e nella segregazione razziale finite poi nel 1964, ndr ). Vorresti davvero vedere i nostri Stati governati da gente incapace di farlo?». E qui Atticus ammette che i bianchi sono meno numerosi dei neri, nel Sud: «Siamo in inferiorità numerica».
Atticus Finch è un personaggio di un libro, ma anche Sherlock Holmes lo è: e questo dettaglio non cambia il sorriso sul volto di chi visita il suo finto indirizzo della sua finta casa a Londra, 221B Baker Street. Atticus Finch però a differenza di Holmes non è un’icona di intelligenza, è un’icona di bontà. Inutile dibattere qui sull’opportunità di pubblicare questo inedito: lo Stato dell’Alabama ha da poco giudicato la signorina Lee capace di intendere e di volere, e che non è stata vittima di un raggiro ma il suo consenso alla pubblicazione è sincero. Certo finché l’adorata sorella era in vita, e finché la signorina Lee era in buona salute, la scelta era stata quella di non pubblicare nient’altro, e lasciare Il buio oltre la siepe come unica, luminosa opera della sua vita (provò a scrivere altro, dopo, ma si arrese: forse schiacciata dal peso di quel libro impossibile da superare, forse perché aveva capito di aver detto tutto quello che aveva di dire in un unico, irripetibile romanzo).
Il libro c’è, i dubbi sulla sua autenticità sono al momento privi di fondamento, forse in futuro arriverà un altro inedito firmato Harper Lee (così lascia intendere la sua avvocata). Va’, metti una sentinella è un libro imperfetto, che a tratti mette in mostra la bravura di una scrittrice vera (i dialoghi del popolino, la crudele zietta strizzata nel corsetto e con il whisky nascosto in cucina che liquida il pretendente alla mano di Jean come «un poveraccio, non si è potuto scrollare di dosso la spazzatura nella quale è nato»), e altre volte ne sottolinea l’ingenuità: ma soprattutto leggendolo si capisce come Atticus anziano razzista sia un anti-eroe poco interessante di una vicenda non originalissima. Una giovane che torna a casa e vede il provincialismo — in questo caso il bieco razzismo — del suo borgo natio, liquida il ragazzo che ha preso posto del di lei fratello (morto) nello studio di suo padre, la voglia di scappare a New York. Fa spavento sentire Jean chiamare suo padre «figlio di puttana» (lui non batte ciglio, lo zio le dà due ceffoni spaccandole il labbro); ma fa ancora più spavento capire quanto sia inferiore, come personaggio, questo Atticus certo più umano ma meno interessante. Quanto banale sia la vicenda rispetto a quella de Il buio oltre la siepe .
Chimamanda Ngozi Adichie ha definito Il buio oltre la siepe come un libro «scritto con inchiostro fieramente progressista». Va’, metti una sentinella è scritto con inchiostro banalmente progressista: c’è tutta la differenza del mondo, la stessa che c’è tra un capolavoro e un libro normale che avrebbe anche potuto non essere pubblicato.