Il cacciatore di luce con le foto non mente.

 

La fotografia, scriveva Ansel Adams, è «un’austera e sfolgorante poesia dal vero». Se poi la foto non può essere riprodotta, ridotta o ingrandita, la poesia si avvicina alla scultura. Perché sono quasi sculture le immagini che Kurt Moser realizza con una incredibile macchina fotografica a soffietto del 1907. Moser è il «lightcatcher», il cacciatore di luce autore di una serie di immagini ottenute con l’ambrotipia, una tecnica antica, usata agli albori della fotografia (è nata nel 1850), che utilizza lastre di vetro cattedrale nere rivestite con un’emulsione di collodio e poi sensibilizzate in un bagno d’argento, quindi impressionate grazie a una fotocamera di grande formato. La sua è una rara «reprocamera» (un’apparecchiatura originariamente utilizzata per creare copie di disegni o immagini fotografiche, molto simile alle prime macchine a dagherrotipo) da lui ribattezzata «Baby», che misura quasi due metri e monta lastre in vetro del formato di 50×60 centimetri. L’ottica a focale lunga è impressionante: è una 800 millimetri.

Per questo le immagini sono uniche, irripetibili: una volta sviluppate, le lastre sono il positivo e non possono essere ingrandite, tagliate o modificate. Quelle che vedete in questa pagina sono state rifotografate e rendono solo in parte lo stupore di chi ha potuto ammirare la tridimensionalità degli originali. «Sono immagini — spiega Moser — che trasformano la luce in opere d’arte». Con questa gigantesca macchina fotografica Moser gira da mesi le Dolomiti, ritraendo dapprima i contadini dei masi (spesso condotti in studio, a Caldaro, per sessioni di posa), poi le montagne, che nei suoi vetri diventano «eterne, immortali». I suoi paesaggi rocciosi, fatti di forti contrasti dove le scale del grigio regalano profondità inattese, evocano davvero i grandi spazi fotografati da Ansel Adams negli Anni Trenta. E ora che è arrivata la neve, i contrasti si fanno più forti: con il verde delle conifere e i pochi pascoli scoperti trasformati in nero, perché piante ed erba assorbono i raggi ultravioletti. Sono proprio gli Uv, infatti, a impressionare le lastre.

«È un linguaggio fotografico molto particolare— sottolinea —, si lavora pensando e pianificando ogni scatto perché è una tecnica molto costosa (le spese per vetro, sali e altri materiali sfiorano i 300 euro a lastra, ndr ). L’opposto della fotografia digitale». Ma i risultati sono spettacolari e giustificano ogni sacrificio: sono foto di paesaggi e persone che catturano luci solitamente invisibili a noi umani. «Come mi ha detto uno dei contadini che ho ritratto: sono foto che non raccontano bugie», non possono essere truccate, modificate. E la reprocamera non ha neppure un otturatore. Figurarsi l’esposimetro. La luce, quella luce che colpisce la roccia di dolomia e provoca il meraviglioso fenomeno dell’«enrosadira», è difficile da calcolare con una macchina fotografica di questo genere. Per farlo, Moser si regola a occhio nudo: prima guarda come si riflette sul palmo della sua mano, poi osserva il paesaggio attraverso la tendina e l’obbiettivo della Baby, prima di inserire la lastra. Spesso — servendosi di un riduttore — effettua tre prove su piccoli pezzi di lastra 8×12: tre diverse esposizioni, per capire quale sarà la migliore.

Moser è tornato a vivere nell’Alto Adige dov’è nato — e dove ha un magnifico studio all’interno del Castel Campan (edificio del 1268), tra i vigneti di Caldaro — dopo aver girato il mondo per trent’anni come cameraman e fotoreporter. Poi nel 2013 ha ideato il progetto di resuscitare l’ambrotipia dopo aver scovato per caso la sua reprocamera della Multilith Corp. (Ohio, Cleveland) in un vecchio studio fotografico di Milano, lo studio di Tito Piccoli. L’ha restaurata personalmente, «ma poi mi sono ritrovato a chiedermi che cosa ne avrei fatto: non volevo metterla in un museo; volevo usarla». Così è andato fino a Berlino per seguire un corso di chimica e imparare a produrre da sé le emulsioni per le lastre. Infine è partito per le sue vette: Latemar (già soggetto di uno studio in quattro parti), Catinaccio (Torri del Vajolet comprese), Civetta, il massiccio dello Sciliar, Tofane, Cristallo, Cime di Lavaredo… Tra poco sarà pronta anche una nuova super macchina fotografica: una replica moderna e più grande della Baby, in grado di montare lastre 90×90, costruita insieme con due ragazzi dell’istituto tecnico Max Valier di Bolzano.

L’obiettivo? «Creare un’esperienza visiva catturando la qualità e l’estetica di una immagine attraverso una sensibilità fotografica unica, in modo da strappare le storie alla loro fugacità». Un tentativo di intrappolare non solo la luce ma anche il tempo, racconta Kurt nella camera oscura del suo studio (simile al laboratorio di un alchimista), mentre, con guanti e protezioni di sicurezza, versa il collodio su una lastra grezza: «Le facciamo venire dalla Boemia — spiega —. Prima le compravamo in Canada, poi l’azienda non ha più prodotto questo tipo di vetro e ci siamo rivolti a una piccola manifattura di occhiali per saldatori».

La prima ambrotipia l’ha realizzata nel dicembre 2014. Poi ha acquistato un furgone per trasformarlo in camera oscura mobile. All’inizio del 2016 sono iniziate le sedute per i ritratti delle genti dei masi: una ricerca sull’ultima generazione di veri contadini patrocinata dall’Unesco. Poi Kurt ha portato la Baby in montagna.

«Vogliamo onorare le Dolomiti, ora patrimonio naturale mondiale dell’Unesco — spiega —, con immagini che dureranno nel tempo come le stesse montagne. Per questo abbiamo ripreso un metodo arcaico come l’ambrotipia». Ed è convinto, Moser, che nessuna tecnica fotografica moderna esistente al mondo sia in grado di raccontare le storie delle sue montagne in un linguaggio visivo altrettanto intenso. Non importa che questa gigantesca Baby pesi 70 chilogrammi e sia più grande di un uomo disteso. D’altronde lo scriveva anche Ansel Adams nel suo libro La Fotocamera : «Quando mi chiedono quale fotocamera uso, rispondo: “La più pesante che riesco a trasportare”. Ovviamente, questa non è l’attrezzatura per foto istantanee, ma ritengo che la grande fatica e le limitazioni imposte da una fotocamera di grande formato portino a una maggiore precisione e garantiscano più alti livelli di perfezione meccanica».

Non pago del lavoro fin qui fatto, dopo l’esperienza con la Baby, Moser vuole ora trasformare un camion russo Ural 6×6 in una gigantesca macchina fotografica. Raccolti i primi finanziamenti con il crowdfunding (attraverso la piattaforma Kickstarter), il «cacciatore di luce» Kurt ha iniziato i lavori per allestire nella parte posteriore del gigantesco camion una cabina di alluminio completamente buia, una camera oscura nella quale verrà praticata un’apertura per installare un rarissimo obiettivo Nikon 1.780 mm (ce ne sono, pare, solo otto al mondo). Sul retro, verrà creato uno slot su cui far scorrere lastre di vetro da 150×100 centimetri. Con il camion-macchina fotografica, Moser girerà tutti passi delle Dolomiti.

Per ogni ambrotipia sono necessari minimo due giorni di lavoro. Due giorni per la preparazione in studio e per trovare l’inquadratura e la luce giusta. Poi solo cinque minuti per sviluppare la lastra in loco. Altrimenti tutto va perduto. Infine la lastra-foto asciutta viene sigillata con olio profumato alla lavanda e resina Sandarak. «Sarà un’esperienza unica», assicura Kurt. A lavoro concluso, le lastre-foto verranno esposte in giro per il mondo: «La prima assoluta sarà al Museo della fotografia Helmut Newton di Berlino», spiega la project manager Barbara Holzknecht, socia e assistente di Kurt: arrivare a esporre in quel museo è davvero un obiettivo nella vita professionale di un fotografo. Partiranno con il loro Ural nel 2019 per raggiungere la capitale tedesca con le 50 lastre della sua personale: 24 ritratti e 26 paesaggi. Per prepararle all’esposizione, Kurt e Barbara hanno perfino trovato un produttore di vetri speciali in Olanda: al contrario di quanto accade per i quadri, per queste lastre servono vetri protettivi (inseriti nella cornice) che non filtrino i raggi ultravioletti. Perché solo gli Uv possono far percepire al visitatore la tridimensionalità delle immagini in ambrotipia.

Domenica 17 Dicembre 2017, La Lettura.

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