Si torna a quelle ore convulse, alle decisioni prese, a quelle che si sarebbero potute prendere, dopo che nei giorni scorsi sono stati desecretati i verbali e gli atti del Comitato, arricchiti dal particolare del verbale, sulla base del quale Conte ha valutato cosa fare. Ancora ieri il premier rivendicava il «metodo» adottato per fronteggiare la pandemia. Che è stato ascoltare le indicazioni e le valutazioni degli esperti, ma prendere poi decisioni in piena autonomia, sulla base di una «discrezionalità politica». Sia quando decise, dopo 4 giorni, di chiudere l’intera Lombardia, sia quando con il Decreto del presidente del Consiglio del 9 marzo scelse di rendere l’intera Italia una grande zona rossa, nonostante il Comitato consigliasse misure più selettive.
Resta comunque la responsabilità di aver temporeggiato per avere a disposizione tutti gli elementi possibili, utili a capire cosa fosse meglio fare in quel momento. Su questo punto Conte aveva già fornito una dettagliata ricostruzione, attraverso una nota diffusa il 30 maggio. Che ieri riassume nuovamente. Dal 3 sera il confronto con gli esperti, gli scienziati e gli uomini della Protezione civile, è serrato. I dati del contagio forniti dall’Istituto superiore di Sanità su Alzano e Nembro sono inequivocabili. Il comitato suggerisce di cinturarle come era stato fatto nel Lodigiano e in Veneto, a Vo’ Euganeo. Il 5 il verbale parere sotto forma di verbale arriva a Chigi. Il 6 marzo Conte e Speranza – rivela il premier – hanno «un dubbio»: sulla base dei dati della diffusione epidemiologica riflettono se non sia meglio rendere la chiusura più radicale. Ne riparlano con gli scienziati, che, a sentire il premier, si convincono. E così il 7 notte arriva il Dpcm.
Quarantotto ore dopo ci sarà l’intero lockdown d’Italia. Per Matteo Salvini paragonabile oggi al sequestro di un intero Paese, un «atteggiamento criminale» che il leghista vorrebbe addirittura vedere giudicato da un tribunale internazionale. Peccato che in quei giorni, come gli ricorda il viceministro grillino Manlio Di Stefano, fosse lui il primo a chiedere di «fare presto» a chiudere l’Italia intera.