Rogatoria per indagare sui flussi di denaro nelle banche elvetiche Becciu contro Perlasca “Plateali falsità”
di Floriana Bulfon
ROMA — La caccia ai soldi del Sacco di San Pietro porta in Svizzera. I magistrati vaticani sono certi che lì siano nascosti i milioni trafugati con truffe, ricatti e corruzioni. Somme che non riescono neppure a quantificare e per questo con una rogatoria di 12 pagine hanno chiesto alle autorità elvetiche di setacciare tutti i conti dei protagonisti dello scandalo. Broker, finanzieri e funzionari della Segreteria di Stato come Fabrizio Tirabassi. Per gli inquirenti è uno dei personaggi chiave: «ha fornito il suo contributo alla realizzazione dell’operazione Gutt Sa che si è conclusa con un esborso di 15 milioni di euro senza alcuna plausibile giustificazione economica». È lui ad aver seguito in prima persona le manovre della società lussemburghese posseduta da Gianluigi Torzi e i magistrati non gli credono quando sostiene di essere stato raggirato. Perché Tirabassi, da 30 anni al servizio del Vaticano, è un commercialista competente, oltre a essere «molto attivo nel proporre investimenti con i fondi della Segreteria di Stato ai vari gestori patrimoniali, stabilendo con essi attività anche a titolo personale». Un funzionario con tanto di conto allo «Ior (saldo pari a 700mila euro) alimentato esclusivamente dagli emolumenti a lui liquidati dalla Santa Sede ma che egli non ha mai movimentato».
Ma in Svizzera ha molto altro, tanto che nel 2015 grazie alla voluntary disclosure regolarizza un milione di euro depositati lì. Disponibilità patrimoniali che «non solo appaiono sproporzionate rispetto alla retribuzione a lui erogata dalla Segreteria di Stato, ma che, alla luce delle investigazioni, rendono plausibile l’ipotesi che Tirabassi abbia commesso il reato di corruzione o concorso in appropriazioni indebite». A cui si aggiunge quello di peculato, perché «sono evidenti le collusioni con Enrico Crasso, con il quale era certamente d’accordo per utilizzare i fondi per finalità diverse da quelle istituzionali». Nella rogatoria si sottolinea come Crasso gestisca dal 1990 le finanze della Segreteria di Stato. Un’attività in cui ha coinvolto anche i figli. Ed è lui a introdurre, nel 2012, il raider Raffaele Mincione nelle stanze della Segreteria di Stato. Stando all’accusa era pienamente consapevole di utilizzare somme a destinazione vincolata ed era presente quando sono state assunte decisioni che si sono rivelate disastrose per le finanze vaticane. Non solo, nel portafoglio in deposito presso Credit Suisse della Segreteria di Stato appaiono investimenti effettuati da lui e a lui riferibili: «Con un evidente conflitto di interesse e un possibile rischio di frode ».
Un quadro desolante, ma quel che è peggio è che «nonostante la Segreteria di Stato sia stata messa in guardia nell’ultimo anno circa l’attività di Crasso continua a dargli fiducia e a non togliergli la delega a operare sui propri conti correnti». Il sospetto è che si sia creata un’associazione per delinquere ai danni della Santa Sede e che un fiume di milioni sia stato disperso nei paradisi bancari. La Svizzera è solo la prima tappa. Qui per ora sono stati congelati i conti di Mincione, il finanziere di Pomezia che per l’accusa ha tratto il maggior vantaggio dall’operazione di Londra. Ben 18 milioni di euro, nonostante l’affare si sia rivelato disastroso per il Vaticano. E la procura vaticana gli contesta anche le scalate lanciate in Italia — come Bpm, Carige e Retelit — perché «ha investito somme della Segreteria di Stato in strumenti finanziari di società a se stesso riferibili nelle quali aveva interessi personali».
Il cardinale Angelo Becciu segue dal suo appartamento la continua fuga di notizie che lo riguardano. Ieri, tramite il suo legale Fabio Viglione, ha reagito alle dichiarazioni attribuite dalla stampa a monsignor Perlasca. Il porporato ha espresso «stupore e dolore, denunciandone la plateale falsità», dice Viglione. E ancora: « Sua Eminenza respinge decisamente ogni tipo di allusione su fantomatici rapporti privilegiati con la stampa, che si vorrebbero utilizzati a fini diffamatori nei confronti di alti prelati». Anche Mauro Carlino, ex segretario di Becciu, ha smentito tramite i suoi legali «di aver mai fatto accuse nei confronti del cardinale, di essersi aperto con gli inquirenti dopo la radiazione dal corpo diplomatico e di essersi pentito, avendo sempre legittimamente operato, davanti ai magistrati non avendo nulla da nascondere».