di Massimo Franco
La richiesta di Matteo Salvini a Mario Draghi «di guidare la pacificazione nazionale» è un appello in extremis: per conto dell’intero centrodestra, fa sapere la Lega. E la scelta dell’interlocutore è abile, sebbene in qualche misura obbligata. Tuttora, il premier appare uno dei pochi politici insieme col capo dello Stato, Sergio Mattarella, considerati fuori dai giochi dei partiti. Il problema è che per il momento in cui cade, la «pacificazione nazionale» appare un miraggio: almeno fino ai ballottaggi di domenica, ma anche dopo.
Non sarà facile smaltire i veleni riversati dovunque dalla guerriglia di sabato a Roma da parte degli estremisti di Forza nuova; dopo le accuse di neofascismo rivolte da una parte della sinistra a FdI e alla Lega, e le repliche infastidite di Giorgia Meloni e dello stesso Salvini. Non aiuterà né il fatto che la manifestazione contro il fascismo sia stata indetta a poche ore dal voto a Roma e a Torino; né le accuse gravi di Meloni contro il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, alla quale imputa di avere «volutamente permesso» gli incidenti di sabato.
Si tratta di parole che risentono di errori e sottovalutazioni nella prevenzione degli scontri; e della rabbia per i raid di un estremismo di destra che finisce per danneggiare FdI. Ma sembrano destinate a radicalizzare le posizioni, non a pacificarle. Nei giorni scorsi, dalla Germania, Mattarella ha spiegato che era stato turbato ma non preoccupato dalla guerriglia nella capitale con l’attacco alla sede del sindacato Cgil. Voleva restituire a quegli episodi gravi di violenza la loro giusta dimensione.
Si è trattato di disordini provocati da piccole minoranze organizzate, che mescolano nostalgie fasciste, opposizione ai vaccini e malessere sociale. Ma i riflessi ideologici della sinistra e l’ambiguità della destra hanno prodotto un cortocircuito, favorito da qualche calcolo sul voto di domenica. La giusta richiesta alla destra di chiamare col proprio nome quella guerriglia è diventata qualcosa di più. Di fatto, l’unità che il governo Draghi esprime con la sua coalizione si è incrinata; e su un tema scivoloso e manipolabile.
Dunque, è difficile che il premier possa «fermare la delegittimazione del centrodestra», come avrebbe chiesto Salvini, e pacificare un sistema politico debole quanto sovreccitato. La conflittualità sparge tossine sulle decisioni prese per archiviare la pandemia e spingere la ripresa economica. Un Paese che si lacera a intermittenza sospetta su fascismo e antifascismo mostra un’identità irrisolta. E dovrà compiere un miracolo per trovare una maggioranza parlamentare che a febbraio elegga il successore di Mattarella al Quirinale.