La prima critica di spessore sui colloqui avviati da UniCredit con il Ministero dell’economia per acquisire una parte del Monte dei Paschi di Siena (Mps), probabilmente solo la rete commerciale della banca e senza il fardello dei crediti deteriorati (Npl), è quella sui rischi dello spezzatino e i loro effetti sull’occupazione. Nel progetto di vendita di Mps a Unicredit che sta preparando l’amministratore delegato di quest’ultima, Andrea Orcel, ci sarebbe infatti l’uscita di 5 o 6 mila dipendenti, tra pensionamenti e prepensionamenti. Gli esuberi dovrebbero essere tutti su base volontaria e sarebbero pagati da un fondo pubblico ad hoc. Il costo dell’operazione sostenuti dallo Stato dovrebbe aggirarsi intorno a 1-1,2 miliardi di euro, ipotizzando un costo medio per dipendente attorno ai 200 mila euro.
SE COSÌ IMPOSTATA, l’operazione condotta dal governo Draghi, tramite il ministro dell’economia Daniele Franco, non sembra avere riscosso grandi entusiasmi da parte dei sindacati che chiedono di aprire un confronto dopo settimane di melina. «L’ipotesi di acquisizione solo parziale di Mps e non della banca nella sua interezza non risponde all’esigenza di massima salvaguardia dei livelli occupazionali e di riconoscimento delle professionalità dei 21mila dipendenti sostengono i sindacati di categoria Fabi, First Cisl, Filca , Uilca e Unisin al termine dell’incontro con l’Ad di Banca Mps Guido Bastianini chiesto dopo il comunicato di Unicredit.
«DISPERDERE il patrimonio rappresentato dal Monte dei Paschi sarebbe un errore grave per il settore del credito e per tutto il paese – ha detto Nino Baseotto, segretario Fisac-Cgil- Ci vuole una credibile soluzione di sistema che, escludendo la facile e sciagurata scorciatoia del cosiddetto “spezzatino”». «Spezzatino – ha aggiunto il segretario generale della Cgil Maurizio Landini – vuol dire indebolire il sistema bancario. Siccome si sta parlando di soldi pubblici che sono stati messi sul campo non possono stare assieme soldi pubblici, licenziamenti e chiusure».
LE OBIEZIONI sull’impatto occupazionale e sullo spacchettamento di Mps fatte dai sindacati sono state condivise anche dal Pd che ieri ha chiesto al governo di intervenire in parlamento, di evitare lo spezzatino e mantenere il radicamento della banca a Siena. Se dai colloqui che si svolgeranno nei prossimi 40 giorni, tanto durerà la «due diligence» con il ministero, l’operazione sarà confermata in questi termini la corsa al seggio di Siena lanciata dal segretario del Pd Enrico Letta potrebbe diventare molto difficile. I primi fuochi alle polveri sono stati accesi ieri da Maurizio Gasparri (Forza Italia), ad esempio: «Letta, diventato segretario del Pd, dove si candida? Alla Camera dei Deputati nel collegio di Siena lasciato libero da Padoan [ora presidente Unicredit, ndr.] – E questi sono i signori che facevano le polemiche sui conflitti di interesse. Mps è il buco nero della sinistra». A ognuno i propri conflitti di interesse, verrebbe da dire.
L’OPERAZIONE lanciata da Unicredit intende creare il secondo polo bancario italiano con Intesa nell’ambito del processo di aggregazione di grandi oligopoli in corso in tutta Europa auspicato dalla stessa Banca centrale europea (Bce). Si vocifera che per Orcel quella senese sia una tappa di un percorso articolato che potrebbe portare a un’offerta per il Banco Bpm. Obiettivo di questo risiko è creare una banca con una forte presenza di filiali, sfidando nel centro-Nord Intesa SanPaolo.
DIRIMENTE è il ruolo dello Stato, e dunque del contribuente, anche su un altro aspetto di questa storia. L’ad di Unicredit Orcel sostiene che la sua banca acquisirà la rete che fa capo a Mps senza i crediti deteriorati (Npl) e le cause legali che resterebbero nel vecchio gruppo. Gli Npl sono uno dei problemi che hanno segnato la recente storia travagliata della banca senese ed è una delle eredità della crisi del 2007-2013. Nelle settimane scorse si è anche parlato di un’idea del governo: convincere Unicredit a farsi carico dei crediti deteriorati offrendo 7 miliardi di euro. Si vedrà se sarà confermata la legge: perdite pubbliche, guadagni privati.
I RISULTATI degli stress test comunicati ieri dall’autorità bancaria europea (Eba) dicono qualcosa a tale proposito. Mps ha registrato il peggior risultato tra le 50 banche europee con un indicatore di solidità patrimoniale (Cet1 ratio) ridotto di 996 punti base dal 9,86% di fine 2020 a -0,1% del 2023. I risultati, ha commentato Mps, non tengono conto della transazione con la Fondazione Mps che ha ridotto di 3,8 miliardi di euro i rischi legali sulla banca e sono coerenti con il Capital Plan» che «prevede un rafforzamento patrimoniale di 2,5 miliardi di euro».
MONTE PASCHI, oggi, è controllata dal ministero dell’Economia che detiene il 64,2% delle quote di maggioranza con l’impegno di uscire entro aprile 2022. Questa presenza è nata a seguito del salvataggio della banca avvenuto 22 dicembre 2017 quando il governo Gentiloni istituì un fondo di 20 miliardi per subentrare anche nell’azionariato di Mps al fine di raggiungere i requisiti richiesti dagli stress test della Bce.
ALLORA al Ministero dell’Economia c’era Pier Carlo Padoan (Pd), oggi presidente di Unicredit. Non proprio un dettaglio, questa pratica delle porte girevoli tra politica e banche. L’altro ieri, al momento del voto con il quale il Cda di Unicredit ha dato il via all’operazione su Mps, l’ex ministro e presidente si è astenuto.