Un’arguta poetica dei contrasti

Palazzo Te è sicuramente uno degli edifici più studiati e più conosciuti di tutta l’architettura moderna. Vanta una bibliografia che potrebbe riempire da sola intere biblioteche, eppure il suo studio sembra che continui a riservare sempre un piccolo angolo critico nuovo, uno spigolo da cui osservare soprattutto altri artisti, altre architetture, altri progetti prossimi nel tempo e nello spazio, ma anche più lontani e però ugualmente legati alla complessità di quella straordinaria costruzione.

UN RECENTE VOLUME, Arte, architettura, ironia. Giulio Romano e Palazzo Te a cura di Francesca Cappelletti (Tre Lune edizioni, euro 20), ripercorre e ricostruisce a passo spedito, ma con un’accurata scelta di saggi particolarmente centrati, la storia critica novecentesca relativa al Palazzo. Infatti, accanto ai saggi di Carlo D’Arco, Piera Carpi, Ernst H. Gombrich, Frederick Hartt, John Shearman ed Egon Verheyen, la prefazione di Charles Hope, il suggestivo apparato iconografico di Marco Introini e il saggio introduttivo della curatrice mettono a disposizione del lettore un panorama storico critico di grande respiro.
In particolare, ricorda Cappelletti come fu una grande mostra e il convegno e il catalogo denso di contribuiti del 1989 che ridisegnarono in modo straordinariamente nuovo e preciso, ma mai completo perché Giulio Romano rimane sempre questione aperta, l’opera intera dell’artista e architetto romano. Insomma, un vero e proprio sforzo collettivo per focalizzare l’idea che attraversa la sua intera opera.
La curatrice si sofferma sulla lettura che in quell’occasione diede dell’opera di Giulio Manfredo Tafuri, il grande storico dell’architettura, che parlava di una «carica ironica» che sarebbe stata presente già in Raffaello per acquisire in Giulio Romano «una grande scioltezza sintattica che non è affatto una carica anticlassica o antiumanistica».

A PALAZZO TE la regola classica dovette fare i conti con le preesistenti scuderie da inglobare nel nuovo progetto, Giulio Romano però seppe usare come una vera opportunità ciò che c’era creando una «poetica dei contrasti» in cui la profonda conoscenza della misura classica, direttamente esperita sui monumenti romani, viene in ogni parte del Te sottoposta a un vaglio innovatore.
Come dice Vasari a proposito del Palazzo «non abitazioni di Mantova, ma di Roma paiono, con bellissima forma di grandezza». Quindi l’architettura, il rapporto con l’ambiente circostante, la decorazione integralmente profana, tutto segna il trasporto verso nord dei progetti, delle letture, delle teorizzazioni e delle modernissime interpretazioni intorno all’antico. E anche la relazione tra Giulio Romano e il committente Federico Gonzaga, che sempre secondo Vasari definiva l’artista «più padrone di quello stato che non era egli», ricorda molto i legami instaurati tra Raffaello e i suoi committenti «romani».
Tuttavia, Giulio supera gli esperimenti dell’officina raffaellesca, pur tenendoli sempre a portata di mano insieme alla lezione di Bramante, squadernando il progetto e ricomponendolo secondo una rilegatura affatto moderna e tuttavia filologicamente capace di diventare, a sua volta, «canone». Certamente solo per i più accurati conoscitori delle proporzioni antiche, come nel caso di Andrea Palladio che, narra la leggenda, andò a prendere a Mantova Giulio Romano, per vedere con i propri occhi l’opera di Leon Battista Alberti, ma soprattutto per recarlo a Vicenza con il dovuto onore.
Tornando agli «arguti artifici» di Palazzo Te, nel libro viene riproposto il primo dei saggi che Gombrich dedicò all’edificio sul quale si era laureato, nel 1933, sotto la guida di Julius von Schlosser.

ATTRAVERSARE con lo studioso viennese «l’alternarsi di dissonanze inattese e fredde forme classiche» è anche un riattraversare le categorie fondamentali della Scuola Viennese, la vicinanza a Freud, lo studio sul concetto di Forma, che in molte parti della costruzione appare «sul punto di rovinare», l’indagine sull’interloquire visivo tra artista e osservatore, quest’ultimo chiamato, forse sfidato, da Giulio Romano a ordinare con l’immaginazione un conflitto cercato con classico rigore. E forse è proprio questa impossibile impresa di ordinare il conflitto che ancora permette a Palazzo Te di rimanere tra i protagonisti assoluti degli studi storico artistici.

 

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