La convergenza tra aree culturali collocate a estremità opposte quando si disputa intorno a vaccini e green pass o a tematiche afferenti la gestione dei corpi e della salute apparirà a molti strana, se non incomprensibile. La rozzezza populistica di Matteo Salvini e seguaci non ha niente a che fare nelle sue premesse ideali con il sofisticato filosofare di un Giorgio Agamben e discepoli, tanto per citare un nome assai noto. Eppure sembra talvolta stia avvenendo un’insidiosa confluenza trasversale tra radicalismi di destra e di sinistra, all’insegna di un inedito «fasciocomunismo». Talune componenti della frastagliata destra leghista o FdI agiscono riportando alla luce motivi inscrivibili in un vitalismo che l’Europa ben conosce. Si pensi all’impeto di un Nietzsche letto male e deformato di proposito o all’esibizionismo di un militaresco D’Annunzio. Protagonisti elevati a guide per giocare con la vita a qualsiasi prezzo mettendo al bando prudenze e perbenismi! Ed ecco slogan altezzosi: «Dei vaccini me ne frego!», «La sicurezza viene dopo!». Un’energia idolatrata e avversa ad ogni chimico lenimento sfida il pericolo e corre le incognite del destino. Dalla parte opposta circolano motivazioni ben differenti. A tentar di trascriverne il profilo più alto è lecito convocare eredità sessantottesche: l’esaltazione, ad esempio, di una sfrenata liberazione, che ebbe uno dei suoi cantori principali in Michel Foucault. Per il quale la biopolitica originatasi verso la fine del Settecento illuminista stava diventando sempre più invasiva e inalberava la pretesa di dettare senza mediazioni provvedimenti diretti a normare la vita dei corpi, anzi la «nuda vita». Giorgio Agamben annota in Homo sacer (1995) una commistione: «le distinzioni politiche tradizionali (come quella fra destra e sinistra, liberalismo e totalitarismo, privato e pubblico) perdono la loro chiarezza e la loro intelligibilità ed entrano in una zona di indeterminazione una volta che il loro referente fondamentale sia diventato la nuda vita». Nel caso della vaccinazione di massa attuata per sconfiggere una pandemia da capire nelle origini e negli sviluppi il rischio che s’intravede è quello che siano usati pretestuosamente e in permanenza mezzi di prevenzione o controllo che l’era digitale mette a disposizione. Si aprirebbe uno «stato di eccezione», utile al potere per emettere a piacimento diktat ispirati a nuovi totalitarismi, oltre la contingenza. Le due aree divergono quanto a finalità. Da destra si avverte un acre sentore di sprezzante e irrazionale vitalismo, mentre il fronte opposto propugna un mite senso della vita sollecitato a sfociare in una fraterna e pacificante contemplazione. Diego Fusaro in Capitalismo globale provoca proponendo Lenin e Heidegger a braccetto. Le due variegate aree qualcosa in comune hanno negli effetti pratici: l’infrangibile diffidenza contro qualsiasi intervento pubblico, un anti-istituzionalismo pregiudiziale. La battaglia delle idee – che non coincide con l’affermazione di impermeabili ideologie – dovrà godere di un libero corso, ma le misure da varare vanno discusse su un dialogante piano politico. È urgente costruire una cittadinanza globale e far prevalere, dati alla mano e verifiche scientifiche acquisite, indirizzi che definiscano le forme e i tempi degli interventi utili alla cura senza con ciò vanificare libertà fondamentali. Non hanno torto quanti criticano l’eccesso di discrezionalità nella condotta dei governi. Gli articoli 13, 16 e 32 della nostra Costituzione consentono limitazioni purché giustificate dall’«interesse della collettività». «Nessuno – vi si stabilisce – può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e la disposizione legislativa «non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». «Persona» in questo passaggio è da intendere come figura che copre individualità e collettività, singoli e società, in un’ottica solidale e condivisa di reciproco riconoscimento.
“Toscana Oggi”, 10 ottobre 2021 Roberto Barzanti