CLAUDIO TITO,
ROMA
Quasi una riscrittura.
Con una data limite: il 19 dicembre. Tutto, quindi, deve cambiare in poco più di una settimana, durante l’esame del provvedimento al Senato. Ed è per questo che il presidente del consiglio Giuseppe Conte vuole stringere i tempi del prossimo incontro con il presidente della Commissione Juncker. Sa che dopo quella data tutto rischia di precipitare e sa che i binari sono quelli. Possono essere curvati, ma non sostituiti.
Il canale di comunicazione tra Bruxelles e Roma è quindi aperto. L’accordo rimane difficile, in primo luogo perché tocca i due cavalli di battaglia su cui Lega e Movimento 5 Stelle intendono poggiare la prossima campagna elettorale per le elezioni europee di maggio.
Dalla struttura comunitaria, però, è arrivato un messaggio che contiene anche elementi innovativi che potrebbero facilitare il confronto, compresa una disponibilità a valutare un taglio delle tasse, un allargamento della flat tax.
L’Ue, insomma, non si limita a puntare l’attenzione sul rapporto deficit\\Pil che comunque, secondo Bruxelles, dovrebbe scendere nel 2019 sensibilmente al di sotto del 2 per cento con una limatura di almeno 7-8 miliardi delle spese attualmente contabilizzate nel testo approvato dalla Camera.
Le sue osservazioni si concentrano soprattutto su alcuni criteri seguiti per le misure di spesa. E partono da un presupposto “dialogante”: non considerare al momento l’inattendibilità della previsione di crescita dell’1,5 per cento nel 2019.
La prima osservazione concerne allora la cosiddetta “quota 100”. La legge Fornero viene infatti considerata una riforma cardine per il nostro Paese. Una sua modifica strutturale costituirebbe un allarme. Altro discorso, invece, se l’intervento potesse assumere un carattere non strutturale. Se, ad esempio, riguardasse solo le finestre previdenziali del 2019 anche per dare definitiva soluzione ad una problema che si è rivelato pesantissimo dal punto di vista sociale e non procrastinabile come quello degli esodati. E se si prevedesse la riapertura di ulteriori finestre negli anni successivi solo con la effettiva compatibilità economica: se i conti sono a posto, si prosegue altrimenti si rinvia. In quel caso l’impatto sarebbe limitato al prossimo anno e non inficerebbe anche il biennio successivo.
Considerando che l’Ue valuta il triennio e non solo un anno finanziario.
Il secondo punto tocca il reddito di cittadinanza. La Commissione non ha espresso un parere contrario. Le perplessità riguardano semmai la sua organizzazione.
Il dubbio, cioè, che si possa sommare ad altre prestazioni sociali o che possa incentivare il lavoro nero senza i dovuti controlli e i contrappesi che al momento non sono regolamentati. Una revisione dei criteri di erogazione e una definizione esatta dell’intero quadro degli ammortizzatori sociali viene quindi considerata indispensabile anche per limitarne il costo.
Il terzo fattore richiamato nei contatti informali riguarda gli investimenti. Nell’Unione europea sono ormai permanenti le perplessità sulla capacità dell’Italia di utilizzare proficuamente le risorse. Viene citato l’esempio dei 60 miliardi di fondi strutturali che il nostro Paese non riesce mai a spendere fino in fondo. O, peggio, vengono ” polverizzati” in micro- interventi incapaci di generare effetti sulla crescita e sulla ripresa. Sarebbe allora meglio – è stato fatto notare introdurre un vincolo ” materiale”: legare gli investimenti a progetti ” unitari” . Esempio: i ponti o le scuole.
Basti pensare che la sfiducia nei confronti della concreta efficacia degli investimenti pubblici ha fatto dire – in alcune conversazioni informali – che sarebbe quasi meglio dirottare tutte quelle risorse verso un taglio diffuso delle tasse. Una sorta di via libera all’estensione della flat tax. Un paradosso, certo, ma che – secondo alcune riflessioni svolte dai Commissari – offrirebbe più certezze dal punto di vista dei risultati economici.
Il quarto elemento sono le riforme. Anche su questo i dubbi di Bruxelles sono profondissimi. Tanto che ormai esiste una sola clausola capace di attivare la flessibilità nell’interpretazione del nostro Bilancio: le calamità naturali.
Il sentiero della trattativa resta dunque strettissimo. Anche perché alla disponibilità del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia ha corrisposto fino ad ora la chiusura di Salvini e Di Maio.
Eppure il negoziato si è improvvisamente riaperto per tre motivi.
I commissari Ue hanno capito che abbassare i toni avrebbe aiutato il dialogo. La maggioranza gialloverde ha dovuto iniziare a fare i conti con un clima nuovo: il Pil sta registrando una caduta verticale: le previsioni di recessione – che non riguardano solo l’Italia – sono ormai condivise da tutti gli istituti. Nei sondaggi lo scontro con l’Europa sta penalizzando la popolarità del governo e in modo particolare il Movimento 5 Stelle.
E infine anche a Palazzo Chigi si è capito che la procedura d’infrazione sarebbe disastrosa per l’Italia. Si tratterebbe, infatti, di una sanzione per debito eccessivo che spingerebbe la Commissione – entro la prossima estate – a stilare una serie di misure volte a eliminare il deficit e a ridurre di un ventesimo ogni anno il debito. Una vera e propria cura da cavallo, dai costi sociali senza precedenti e dalle prospettive terrorizzanti. Al punto che un pacchetto di ministri – almeno tre, tra cui quello dell’Economia Tria hanno già fatto sapere al presidente del consiglio che in caso di procedura d’infrazione non si assumeranno la responsabilità di rimanere al loro posto. Le conseguenze sarebbero le loro dimissioni. E tre ministri che si dimettono avvicinerebbero di molto il governo ad una crisi formale.