Il numero chiuso di Venezia
La capitale francese non è la sola davanti a questo bivio. Venezia, la vittima forse più illustre dell’overtourism, ha preso il toro per le corna sperimentando tornelli e numero chiuso nei giorni da “bollino nero”, come le Cinqueterre. La Spagna ha usato il pugno di ferro. E dopo le proteste anti-turisti a Barcellona — con tanto di bus sequestrato e danneggiato — ha messo un freno al turismo selvaggio: la città catalana ha sospeso le visite di tour organizzati al mercato della Boqueria e raddoppiato gli ispettori anti-abusivi, appioppando 600mila euro di ammenda ad Airbnb che ne ospitava 2mila sulla sua piattaforma. Valencia ha proibito gli affitti di case nel centro storico per impedire la desertificazione della città vecchia. Uno spettro che inquieta anche Parigi dove Airbnb ha in catalogo ben 65mila appartamenti. Amsterdam è stata ancora più drastica e per combattere la “Disneylandizzazione” della città ha approvato un duro piano taglia-turisti: le tasse di soggiorno in hotel sono raddoppiate al 6 per cento, i permessi per negozi di souvenir sospesi, come i servizi delle Beer Bike, i risciò a 12 posti che tra gli optional avevano una botte di birra per i passeggeri. Anche gli attracchi delle crociere sono stati contingentati. Come è successo a Santorini (che ha tagliato gli sbarchi da 12mila a 8mila al giorno) e a Dubrovnik cui l’Unesco aveva minacciato di togliere lo status di patrimonio dell’umanità causa eccesso d’affollamento. Fermare il vento con le mani però non è facile. E illudersi che il problema del turbocapitalismo si possa risolvere con interventi “spot” è un’illusione. Degli 1,3 miliardi di turisti del 2017, il 51 per cento è venuto in Europa, il 7 in più dell’anno precedente.
La crescita nel 2018
Nei primi sei mesi del 2018 gli arrivi nel Vecchio continente — certifica la World Tourism organization — sono cresciuti di un altro 6 per cento. Il serpentone di turisti davanti a Notre Dame di ieri, una fila interminabile con 4 tornanti stile salita dello Stelvio, è destinato senza interventi seri ad allungarsi ogni anno di più.
Con l’effetto collaterale di sovraccaricare infrastrutture già oggi sature tipo aeroporti e ferrovie, dove si stanno moltiplicando ritardi e cancellazioni. «Le nostre fogne sono dimensionate su una popolazione di poche migliaia di persone — racconta sempre per illustrare il problema il sindaco di Santorini Nikos Zorzs -. Ma alcuni giorni in estate ci troviamo a doverne gestire 70mila». Con che rischio? Di finire come Borocay,
i Caraibi delle Filippine, chiusi per sei mesi al turismo dopo che la pressione degli ospiti ha fatto esplodere i depuratori trasformando il mare — parola del presidente Rodrigo Duterte — in “una cloaca a cielo aperto”.
La strategia anti-collasso
La strategia anti-collasso del sistema turistico è semplice, dicono i guru del settore: incentivare i viaggi in bassa stagione e spalmarli sulle aree meno battute. Una missione quasi impossibile in un mondo dove il 66 per cento dei viaggiatori converge sulle stesse venti destinazioni top (con Parigi e Francia al primo posto) e dove la caccia all’inquadratura perfetta per instagram o per il selfie da appendere come un trofeo sui social tende ad accentuare il fenomeno. L’Olanda ha preparato opuscoli e app per pilotare gli “invasori” fuori Amsterdam. L’Islanda sta provando a convincere i vacanzieri che anche a maggio, settembre e ottobre si può visitare il paese pagando meno e senza fare a gomitate di fronte ai geyser. Lo stesso stanno tentando da fare le Baleari dopo che tre settimane fa i cittadini di Palma si sono presentati in massa all’aeroporto (dove atterrano 10mila ospiti al giorno) accogliendo i passeggeri con lo striscione “Il turismo uccide Maiorca”. Il rischio è che finisca per uccidere anche l’Europa.