La comunicazione politica al tempo dei social network, degli influencer e dell’iperinflazione informativa dell’agorà mediatica non può fare a meno di risentire – negativamente come positivamente – delle esternazioni di vip, personaggi famosi, cantanti, imprenditori (o presunti tali) del mondo digitale veicolate attraverso stories, interventi televisivi, post e dirette streaming. La spettacolarizzazione della politica, e della comunicazione politica in particolare, è un fenomeno annoso, complesso e in continua evoluzione – prende forma e natura in base anche al progresso tecnico e tecnologico che permette la nascita di più spazi e canali comunicativi.
Se in una prima fase, dalla nascita e dall’esplosione della televisione commerciale in poi – siamo negli inebrianti anni ’80, quando la Prima Repubblica era all’apice della spartizione del potere e sembrava dover durare in eterno – il tubo catodico finì per trasformare il dibattito pubblico in bagarre e in un comizio permanente (pubblico che applaude a comando, claque, risse verbali televisive) pur mantenendo come protagonisti personaggi politici e pubblici, nella prima decade del ventunesimo secolo la comunicazione digitale ha reso la spettacolarizzazione e popolarizzazione della politica un esperimento perennemente applicabile e perennemente vero. Non c’è più (tranne rare, da ben conservare, eccezioni) uno spazio di dibattito pubblico che abbia al suo centro idee, visione della gestione della polis, pensiero critico, confronto senza freni e ideologie di parte. Tutto cade vittima di una repentina polarizzazione, capace di creare etichette facilmente attaccabili e pronte all’uso, più per giustificare la pochezza delle proprie argomentazioni che per far crescere consapevolezza e coscienza civica di tutti i cittadini. In una società dall’ego ipertrofico, che ha sempre bisogno di led e fari puntati, dove l’immagine conta più della coerenza e della sostanza dei valori, tutto è soggetto ad attenta strumentalizzazione più o meno velatamente propagandistica: si arriva a stabilire confini netti, argomenti tabù, divisioni arbitrarie; talmente tabù che il solo porsi delle domande su dubbie interpretazioni viene ritenuti motivo di revisione e di negazione estrema. Nascono così i negazionisti (tendenzialmente di qualsiasi cosa) tanto funzionali a chi, economicamente, culturalmente e mediaticamente vuole mantenere ben salde le preziose leve del potere.
In un epoca in cui la politica ha perso il contatto con la realtà che la circonda, limitandosi ad un mera azione subalterna nei confronti dei poteri economici, finanziari e bancari, non stupisce che il mondo variopinto dei personaggi famosi abbia allungato le mani entrando a gamba tesa nella dinamiche della comunicazione di tutti i giorni. I social media, in particolare, permettono una possibilità di influenza politica senza precedenti, a chi, a secondo delle cifre, può vantarsi di avere milioni di disciplinati e iperattivi “followers”. In questa cornice ciò che è accaduto lo scorso primo maggio appare emblematico, la punta dell’iceberg di un processo degenerativo probabilmente giunto al suo ultimo, irrimediabile stadio. La vicenda è ben nota, e nei suo vari dettagli e strascichi polemici sarebbe qui decisamente prolisso riassumere. D’uopo è, tuttavia, argomentare alcune opportune riflessioni. Il celebre artista e rapper Federico Lucia, denunciando che la Rai è sottoposta a pesanti condizionamenti politici, arrivando perfino a parlare di censura (?), svela, all’opinione pubblica belante, uno dei tanti segreti di Pulcinella: la televisione pubblica italiana è lottizzata praticamente fin dalla sua nascita, principio ribadito più volte anche nelle riforme a cui è stata sottoposta – dal 1975 in poi – e di cui hanno beneficiato praticamente tutti i partiti italiani dal 1953 ad oggi. Fa sorridere poi che alcuni esponenti politici si siano precipitati a dare solidarietà al rapper, quando i loro stessi partiti hanno contribuito in modo attivo, con nomine e pressioni, a fossilizzare Mamma Rai dividendola in lotti.
Parte del CDA della Rai è espressione governativa e altra parte sostanziosa è espressione della Commissione Parlamentare appositamente costituita: risulta del tutto evidente (purtroppo) che ci possano essere nomine e trasmissioni condizionate da questo o quel partito, da questo o quell’esponente. Non ci voleva un celebre artista per ricordarlo; avremmo volentieri fatto a meno della solidarietà dei sepolcri imbiancati di chi queste storture le porta avanti da decenni. Federico Lucia, poi, attraverso il suo intervento, ha contribuito a polarizzare e a rendere incandescente – con evidenti degenerazioni d’odio e di risentimento – il dibattito nei confronti della Legge Zan, al centro di strumentalizzazioni e banalizzazioni da una parte e dall’altra. Sarebbe stato bello sentire dal noto e pluripremiato rapper qualche parola in più sul contenuto della legge, sulle criticità (se presenti) di alcuni dei suoi articoli, sulla necessità di un vero, ampio e formato coinvolgimento popolare. Sarebbe stato lecito aspettarsi la citazione di qualche articolo, di stimolare la possibilità di leggersi la bozza del testo di legge: tutto ciò è stato evidentemente bypassato. Si discute di una legge così delicata e importante senza averne letto gli articoli, senza avere la possibilità di condividerla, di dibatterla in modo civile e costruttivo: bisogna prenderla a scatola chiusa e basta, e sia per noi poveri sudditi sufficiente il discorso del re dei rapper italiani.
Tutto ciò nulla toglie al giusto sdegno per i commenti di alcuni esponenti del partito della Lega circa indifendibili dichiarazioni e posizioni, così come citate da Federico Lucia. Tuttavia, un’altra sensazione resta, almeno per come questa vicenda è stata data in pasto al sistema dell’informazione. Sia dall’atteggiamento, che da un certo pregiudizio ideologico che traspare in modo palese dal tono del suo intervento, seguendo le giuste argomentazioni del rapper circa la povertà di certe dichiarazioni, appare chiaro un obbiettivo (molto pericoloso e riduttivo) di identificare tutti gli esponenti o elettori della lega come potenziali suprematisti, razzisti e omofobi. Urlare a squarciagola che un esponente della Lega ha posizioni omofobe e retrograde significa forse legittimare l’idea che tutti i simpatizzanti leghisti sono di siffatta natura? Perché un poliziotto abusa del suo potere o della sua posizione si vuol forse dedurre che tutti i poliziotti siano dei prevaricatori? Perché un politico viene scoperto in un’operazione di corruzione, bisogna forse dedurre che tutti i politici siano corrotti? Questa tipologia di comunicazione, di esposizione delle proprie tesi perfettamente calzanti ad un clima di tifoseria, contribuisce in modo chiaro non solo a non elevare il dibattito pubblico, ma anche a creare un diffuso clima di sfiducia e di sospetto e sposa in pieno la tipologia di interrogativi sopra esposti.
Da ultimo, non si può non sottolineare la cifra comune di tutta la vicenda Fedez-concerto primo maggio: l’ipocrisia, atteggiamento che funge da collante tra lo sgomento delle forze politiche per l’arcigna Mamma Rai che allunga le unghie della sua sofisticatissima censura e il ruolo e la coerenza di Federico Lucia che, da paladino dei diritti civili, al tempo stesso si presenta sul palco con un cappellino sportivo di una nota marca internazionale di abbigliamento che basa parte del suo business sullo sfruttamento di manodopera minorile in intere nazioni del sud-est asiatico e non solo. Di più: come non sottolineare il ruolo attivo e presente del rapper come testimonial e promotore della più grande multinazionale del commercio elettronico al mondo che, oltre a sottoporre i propri lavoratori ad un regime di alienazione produttiva, elude sistematicamente il sistema fiscale italiano ed europeo, contribuendo all’unisono a distruggere piccoli commercianti e piccole-medie imprese dal tessuto secolare? Forti contraddizioni, che stonano ancora di più considerando come il primo maggio viene esaltata quale date della festa dei lavoratori: e se è vero che, come qualcheduno dice, l’Italia si salva con il lavoro, si cominci facendo rispettare a Jeff Bezos e Soci leggi, diritti e equa tassazione come in tutti gli altri casi. Non ci soffermiamo troppo su altre memorabili citazioni “artistiche” del tipo che aspettiamo di comprarci un altro esame all’università (d’altronde, si sa, tutti i studenti italiani passano i propri esami comprandoli) o che “lo sparare al fascista” sia un nuovo tipo di sport; tacendo infine sulla illuminante pratica di sprecare cibo gettandolo nel festeggiare una festa di compleanno.
Giunti alla fine di questa riflessione, risulta oltremodo evidente come, al contrario di un solo e mero atto di coraggio e libertà, il discorso di Federico Lucia con le relative polemiche scaturite, rappresentano l’ultimo stadio di una manifesta incapacità di dibattito pubblico, prigioniero di un vortice fatto di spettacoli, click, visualizzazioni, like e condivisioni. I protagonisti dello spettacolo oggi si stanno prendendo anche questo show, ad uso e consumo di spot, sponsorizzazioni e battaglie civili e politiche tutte uguali – con qualcuna orwellianamente più uguale delle altre.
Giornalisticamente li chiamano Ferragnez, forse sarebbe bene rinominarli Spottagnez.