Luigi Di Maio ci ha provato a tendere la sua trappola: “Sulla Tav la Lega non ha i numeri in parlamento: senza i voti del Pd non può farcela”. L’ennesima provocazione di questi giorni indirizzata a Salvini ma anche un chiaro riferimento, per nulla gradito, a un “soccorso rosso” che, sulla mozione contro l’opera presentata dai 5 Stelle al Senato, arriverebbe alla Lega da parte dei dem.
Un tentativo di sparigliare le carte, di distogliere l’attenzione dal fatto che M5S deve spiegare agli elettori il sì del suo governo alla prosecuzione dei lavori, di additare il “partito del cemento” che metterebbe sullo stesso fronte il partito di Zingaretti e il centrodestra. E soprattutto di nascondere un bluff che si svela ogni giorno di più: specie da quando è stato depositato a Palazzo Madama l’atto dei pentastellati. Che, a sorpresa, sulla sospensione del cantiere della Tav non impegna il governo, come previsto nella maggior parte di mozioni e risoluzioni. Ma impegna, al posto dell’esecutivo, il Senato.
E in tanti si chiedono cosa possa fare un ramo del parlamento per fermare un’opera che, peraltro, ha già avuto il via libera del premier Conte. In casa Pd è la riprova che la mozione M5S ha scarso valore concreto: “I 5 Stelle sono in confusione”, dice in serata il capogruppo alla Camera Graziano Delrio.
Un bluff, insomma, che però costringerà i dem a muoversi con circospezione in aula. “Bisogna liberare l’Italia dall’incubo dei parolai Salvini e Di Maio e ridare una speranza agli italiani”, dice ufficialmente il segretario Nicola Zingaretti, che ai suoi non nasconde la preoccupazione per un passaggio d’aula sostanzialmente inutile guardato tuttavia con attenzione anche da Bruxelles: ieri la commissaria europea ai Trasporti Violeta Bulc, nell’accogliere “con favore” la lettera del governo italiano che ribadisce il proprio sostegno al progetto Lione-Torino”, si è detta in attesa “di un rapido voto di conferma in seno al Parlamento italiano”.
Il Pd si trova, all’improvviso, nella necessità di conciliare due esigenze: far risaltare la propria posizione storicamente favorevole alla Tav senza apparire schiacciato sulle posizioni analoghe della Lega e del centrodestra. La soluzione pensata dai dem, spiega il presidente Andrea Marcucci, è quella di una propria mozione a favore dell’opera che sottolinei le contraddizioni della Lega: “Noi – rammenta Marcucci – abbiamo già presentato una mozione per la Tav che il 7 marzo scorso è stata bocciata grazie anche ai voti del partito di Salvini. E il 21 marzo la mozione di sfiducia a Toninelli è stata respinta con il no sempre del Carroccio che oggi attacca il ministro”.
Basterà questo atto del Pd a rimarcare le distanze e respingere la propaganda grillina sull’inciucio a favore del “partito del cemento” o di Macron? Il momento decisivo sarà comunque il voto sulla mozione grillina: “Ci esprimeremo in modo contrario e pazienza se saremo in cattiva compagnia. Prima viene l’interesse degli italiani”, ancora Marcucci. Che spegne sul nascere le avance di una frangia minoritaria che, nel partito, ritiene che bisognerebbe invece uscire dall’aula per censurare con più forza la mozione-bluff di Di Maio. Ci sarebbe però il rischio, in questo caso, di far passare la mozione grillina, anche se sulla carta Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno i numeri per respingerla da soli, disponendo di 137 senatori contro i 106 di M5S.
Il rovello c’è, nel Pd. Che, in questo gioco parlamentare, si interroga sull’atteggiamento da tenere su probabili mozioni per il sì alla Tav di Lega o Fi: in quel caso i dem al Senato potrebbero non partecipare al voto. “Noi dovremmo assolutamente schierarci contro in questo caso”, rimarca invece Delrio che assicura comunque che nel Pd “non c’è imbarazzo e non ci sono divisioni. Sosteniamo con forza il progetto revisionato dai nostri governi, che hanno permesso sensibili risparmi rispetto a quello originario. Le contraddizioni stanno nella maggioranza”.
L’ex ministro delle Infrastrutture non nega che gradirebbe che il dibattito sulla Tav si svolgesse pure alla Camera. Ma per ora il campo principale è Palazzo Madama, dove però l’atto dei 5 Stelle non è ancora stato messo in calendario: potrebbe sbarcare in aula il 7 agosto ma in quest’ultimo scorcio di lavori prima delle ferie bisognerà discutere anche il decreto sicurezza bis e forse la mozione di sfiducia a Salvini. La prospettiva è quella dell’ingorgo, che potrebbe determinare anche il rinvio a settembre della mozione-bluff che il Pd è costretto a trattare con le pinze.