Karl Marx, nato il 5 maggio 1818, non avrebbe certo gradito l’elogio che, per questo bicentenario, gli ha tributato il presidente cinese Xi Jinping, definendolo «il più grande pensatore dei tempi moderni». Spirito critico per eccellenza, il filosofo tedesco sarebbe inorridito nel vedere le sue teorie strumentalizzate come ideologia di Stato da un regime dispotico e incline allo sfruttamento dei lavoratori. D’altronde ciò non avviene a caso: l’aspetto utopistico del pensiero di Marx (nella foto una caricatura) si presta, come tutte le fedi, all’irrigidimento in culto ufficiale. E l’abolizione della proprietà privata ha prodotto effetti opposti a quelli da lui sperati. In Occidente invece l’abbandono del marxismo da parte di quasi tutte le forze politiche di sinistra permette di trattare l’autore del «Capitale» come un importante classico: è in corso una riedizione delle sue opere condotta su basi critico-scientifiche e la crisi finanziaria globale induce a ristudiare le sue analisi sull’instabilità del capitalismo. Sono questi gli omaggi che forse Marx, nonostante il suo caratteraccio insofferente, avrebbe apprezzato.