di Pierluigi Battista
Le elezioni francesi dicono che il centrodestra, se vuole vincere e mietere consensi, non deve inseguire la destra, o addirittura acquattarsi sotto la sua leadership. Nicolas Sarkozy è il centrodestra di governo, non imbocca strade velleitarie e catastrofiche come l’abbandono dell’euro, magari accentua l’allarme sull’immigrazione, ma lo fa senza spirito antisistema, prospettando un governo credibile. Marine Le Pen è la destra che ha una grande forza elettorale. Un quarto dei voti è comunque un pezzo importante della società francese. È la destra che raccoglie e interpreta ogni protesta, che dà voce a una Francia non rappresentata da un establishment avvizzito e stanco, ma non sarà mai una destra di governo. Per la destra di Matteo Salvini, il risultato della Le Pen sarebbe un enorme successo. Per un centrodestra che aspirasse a competere con il centrosinistra per guidare l’Italia e non vuole essere risucchiato in una logica minoritaria, sarebbe una sconfitta mentre l’indirizzo giusto è quello scelto da Sarkozy, non dalla Le Pen. O dalla Lega di Salvini.
Un partito che non lo capisce è solo una corte destinata a dilaniarsi una volta che il Capo dovesse lasciare la scena. Ecco ciò che rende diverso, e vincente, il centrodestra francese da quello italiano.
Invece la tentazione di Forza Italia è di mettersi sulla scia di Salvini, pensando che la protesta sia vantaggiosa in termini elettorali. Lo è, se si vuole stare attorno al 25 per cento della Le Pen. Non lo è, se si vuole conquistare l’elettorato che cerca la protesta ma ambisce anche a governare, che è scontento dell’Europa ma intuisce che la fine dell’euro sarebbe una disfatta, che è devastata da una tassazione esosa e iniqua, che vuole meno ingerenza dello Stato, che non accetta che gli immigrati entrino in modo indiscriminato e caotico ma poi esige un governo che tagli la spesa pubblica per diminuire sensibilmente le tasse. E sa che con le parole d’ordine suggestive di Salvini si prende la scena mediatica, ma non si prende l’elettorato sufficiente per battere un avversario, Matteo Renzi, che oggi è fortissimo, molto più forte di Hollande e dei socialisti francesi. Salvini è addirittura contro la riforma delle pensioni, che almeno ha salvato il bilancio dello Stato. Un centrodestra credibile potrebbe mai battersi per restaurare l’antico regime pensionistico dopo aver tentato per anni di riformarlo, scontrandosi anche con l’inerzia e il conservatorismo della sinistra di allora?
Il centrodestra italiano appare invece liquefatto, in balia di sentimenti opposti e contrastanti. Un giorno si vincola al patto del Nazareno: e magari si potrebbe dire che Sarkozy non avrebbe ottenuto lo stesso successo se avesse stretto un patto così vincolante con gli avversari socialisti. Il giorno dopo, magari offeso per il trattamento non proprio amichevole del premier Renzi sulla vicenda del nuovo presidente della Repubblica, cerca di divincolarsi goffamente, proponendo nuovi patti con chi predica l’uscita dall’euro e vorrebbe seguire le orme di Marine Le Pen. Dentro questa oscillazione così marcata, si perde la stessa prospettiva di contendere al Pd di Renzi il governo dell’Italia, che invece è il compito e la missione di un sistema democratico fondato sul bipolarismo. Il successo di Sarkozy dimostra che rifiutarsi di lasciarsi sedurre dalle proteste antisistema e antieuro può portare buoni risultati e rimettere la democrazia come teatro di una competizione tra due schieramenti che rivaleggiano per ottenere la maggioranza dei voti sufficienti a formare un governo. Senza questa «vocazione maggioritaria», il sistema ne verrebbe inevitabilmente sbilanciato, confinando la protesta, sia grillina che leghista, in un recinto molto largo e numericamente consistente, ma non tanto largo da diventare alternativa di governo. La lezione Sarkozy in Francia vuol dire proprio questo: che il centrodestra di governo deve diventare qualcosa di diverso dalla destra di protesta se vuole contare qualcosa. Altrimenti la stessa democrazia dell’alternanza ne verrebbe impoverita e rinsecchita.
Pierluigi Battista
Un’altra cosa che il centrodestra italiano dovrebbe imparare dalle elezioni francesi è che il ritorno di Sarkozy è stato il frutto di una aspra lotta politica all’interno dell’Ump. E che le leadership si conquistano sul campo, e non per un’investitura di un monarca che domina il partito come una sua creatura personale. La differenza è ben capita dall’elettorato.