Il punto
Apochi giorni dalla doppia tragedia di Macerata – prima la morte e lo smembramento di una povera ragazza per cui è in carcere un immigrato nigeriano, subito dopo il raid razzista e la tentata strage da parte di uno squilibrato fascistoide – colpiscono due aspetti della vicenda. Il primo riguarda la sostanziale assenza della politica e in parte delle istituzioni, rimaste entrambe alquanto silenziose rispetto all’enormità degli eventi. Anche la solidarietà alle vittime, sia le persone di colore rimaste ferite sia i familiari della giovane Pamela il cui corpo è finito in due valigie, è stata fin qui molto parca, una discrezione degna di miglior causa. Certo, abbiamo registrato la solita tempesta di polemiche strumentali e insulti di maniera, niente di nuovo rispetto a un giorno di ordinaria campagna elettorale; ma è mancata quasi del tutto una riflessione alta, rivolta non al 4 marzo bensì al futuro della convivenza civile e in definitiva alla qualità della nostra democrazia. Unendo e non separando i due gravissimi episodi. I segue dalla prima pagina Perché non si può negare che tali episodi sono legati da un nesso perverso.
La timidezza nasce solo da un “senso di responsabilità”? Giusto l’invito alla prudenza per non accendere altri focolai di intolleranza. Purché non si confonda la cautela con la latitanza, figlia a sua volta del timore di passi falsi. Per essere più chiari: dopo Macerata il centrosinistra sembra piuttosto impacciato; timoroso di difendere la sua idea di integrazione rispetto a una destra aggressiva che, invece di mettersi sulla difensiva dopo il raid e la sparatoria, continua a occupare spavaldo il centro della scena.
Se è vero che le Marche rappresentano lo spartiacque in grado di decidere addirittura il risultato delle elezioni, l’impressione è che il Pd non stia combattendo con sufficiente energia una battaglia che è morale e culturale prima ancora che politica. Si sentono alcune affermazioni di principio, ma non si va oltre: con il rischio che qualcuno, magari sbagliando, interpreti l’appello al senso di responsabilità come la volontà di non perdere il contatto con quella parte di opinione pubblica che si è indignata fino a un certo punto per i feriti di sabato. In questo modo si lascia campo libero al centrodestra.
Fino al punto che non basterà la rituale condanna del populismo per frenare la tendenza espansiva del trio Berlusconi-Salvini-Meloni.
Qui è il secondo aspetto che merita attenzione. Non solo il leader di Forza Italia si è ben guardato dal prendere le distanze dal capo della Lega; al contrario ha rilanciato con la proposta, buttata lì in fretta e furia, di espellere 600 mila clandestini. Significa che il “moderato” Berlusconi teme l'”estremista” Salvini. Forse i sondaggi non sono così buoni per il partito di Arcore e può darsi che l’obiettivo di scavare un fossato di almeno otto-dieci punti fra i due alleati non sia a portata di mano.
È in corso e non da oggi una strenua competizione all’interno del centrodestra. Ma la fotografia che descrive la saggezza dell’anziano Berlusconi come vincente rispetto al “lepenismo” di Salvini potrebbe non essere corretta. Prima la battuta sulla razza bianca del lombardo Fontana, ora i fatti di Macerata: chi può dire che la Lega non stia ricavando un paradossale vantaggio da queste lacerazioni nel tessuto della società? Peraltro non ci sarebbe da meravigliarsi. L’Austria si è appena data un governo molto spostato a destra. Poco più a Est, l’Ungheria di Orbán rappresenta il nuovo faro dei nazional-populisti europei, Lega in testa. Il caso della Polonia è noto. Macerata può essere il segnale che il vento spinge anche in Italia in quella direzione.
Salvini ha già alzato le vele, Berlusconi si adegua. Pure Grillo affida al suo blog un’analisi ambigua per cui il vero razzismo oggi è il pensiero “globalista”.
Forse al Pd non basta ripetere qualche slogan per contrastare l’accelerazione in atto. Tanto meno sarà sufficiente cullarsi nell’illusione delle larghe intese prossime venture.
La timidezza nasce solo da un “senso di responsabilità”? Giusto l’invito alla prudenza per non accendere altri focolai di intolleranza. Purché non si confonda la cautela con la latitanza, figlia a sua volta del timore di passi falsi. Per essere più chiari: dopo Macerata il centrosinistra sembra piuttosto impacciato; timoroso di difendere la sua idea di integrazione rispetto a una destra aggressiva che, invece di mettersi sulla difensiva dopo il raid e la sparatoria, continua a occupare spavaldo il centro della scena.
Se è vero che le Marche rappresentano lo spartiacque in grado di decidere addirittura il risultato delle elezioni, l’impressione è che il Pd non stia combattendo con sufficiente energia una battaglia che è morale e culturale prima ancora che politica. Si sentono alcune affermazioni di principio, ma non si va oltre: con il rischio che qualcuno, magari sbagliando, interpreti l’appello al senso di responsabilità come la volontà di non perdere il contatto con quella parte di opinione pubblica che si è indignata fino a un certo punto per i feriti di sabato. In questo modo si lascia campo libero al centrodestra.
Fino al punto che non basterà la rituale condanna del populismo per frenare la tendenza espansiva del trio Berlusconi-Salvini-Meloni.
Qui è il secondo aspetto che merita attenzione. Non solo il leader di Forza Italia si è ben guardato dal prendere le distanze dal capo della Lega; al contrario ha rilanciato con la proposta, buttata lì in fretta e furia, di espellere 600 mila clandestini. Significa che il “moderato” Berlusconi teme l'”estremista” Salvini. Forse i sondaggi non sono così buoni per il partito di Arcore e può darsi che l’obiettivo di scavare un fossato di almeno otto-dieci punti fra i due alleati non sia a portata di mano.
È in corso e non da oggi una strenua competizione all’interno del centrodestra. Ma la fotografia che descrive la saggezza dell’anziano Berlusconi come vincente rispetto al “lepenismo” di Salvini potrebbe non essere corretta. Prima la battuta sulla razza bianca del lombardo Fontana, ora i fatti di Macerata: chi può dire che la Lega non stia ricavando un paradossale vantaggio da queste lacerazioni nel tessuto della società? Peraltro non ci sarebbe da meravigliarsi. L’Austria si è appena data un governo molto spostato a destra. Poco più a Est, l’Ungheria di Orbán rappresenta il nuovo faro dei nazional-populisti europei, Lega in testa. Il caso della Polonia è noto. Macerata può essere il segnale che il vento spinge anche in Italia in quella direzione.
Salvini ha già alzato le vele, Berlusconi si adegua. Pure Grillo affida al suo blog un’analisi ambigua per cui il vero razzismo oggi è il pensiero “globalista”.
Forse al Pd non basta ripetere qualche slogan per contrastare l’accelerazione in atto. Tanto meno sarà sufficiente cullarsi nell’illusione delle larghe intese prossime venture.
La Repubblica – Stefano Folli – 06/02/2018 pg. 1,28 ed. Nazionale.