L’EREDITÀ DI JANET YELLEN
Ieri Janet Yellen ha confermato un aumento dei tassi; ma avrebbe potuto comunicare anche l’esatto contrario, oppure il nulla; ogni suo annuncio è scritto sull’acqua. Perché oggi quello che conta non è quello che dice la Fed, ma quello che pensano i mercati finanziari su due temi: le prospettive di crescita dell’economia americana e gli obiettivi del Presidente Trump. La Fed è irrilevante, anche per colpa della strategia accomodante nei confronti della politica e di Wall Street che la Yellen ha tenuto durante il suo mandato. Continua pagina 5 Continua da pagina 1 L’ultimo atto della Yellen come presidente Fed non è destinato a lasciare tracce. Peraltro difficilmente gli annunzi dei banchieri centrali segnano la storia; le eccezioni – la più recente è il “whatever it takes” del presidente Draghi del luglio 2012 confermano la regola: gli annunzi tendono a confermare quello che i mercati già si aspettano. In particolare, date le informazioni sullo stato dell’economia, se una banca centrale segue una regola credibile. Nel caso della Fed, i mercati sanno che la Fed della Yellen non ha mai avuto una regola, se non quella di essere stata accomodante rispetto ad una situazione di alta incertezza, che ha prodotto uno status quo della eccezionale espansione monetaria iniziata nel 2008, di cui solo due soggetti hanno avuto senza dubbio vantaggi: i governi in carica (prima Obama, poi Trump), e la finanza. I dati: la Yellen entra in carica a recessione già finita, ma con una ripresa anemica sia negli indicatori reali – crescita ed occupazione che in quelli nominali – salari e prezzi. Dai libri sulla Grande Depressione era stato appena riesumato il concetto di rischio stagflazione: una ripresa economica che si materializza, ma in modo strutturalmente debole. L’indicatore principe è il tasso di rendimento reale del capitale, che ha due caratteristiche: è difficile da stimare; non è sotto il controllo della Fed. Nonostante le difficoltà di stima, tutte le analisi mostrano una caduta tendenziale del rendimento reale del capitale negli Stati Uniti. La conferma viene dalla dinamica di lungo periodo dei tassi di interesse sui titoli pubblici, che hanno riflesso e seguono a riflettere l’avversione al rischio dei mercati, non sappiamo se come componente di un eccesso di risparmio o di una caduta della produttività, o del combinato disposto delle due possibili cause. Poco importa: i rendimenti reali del capitale stagnano. Non deve trarre in inganno l’esuberanza del rendimento del capitale finanziario (cioè Wall Street): le due variabili hanno profili, determinanti ed effetti diversi. Ma se il rendimento del capitale è indipendente dalle scelte della banca centrale, cosa avrebbe potuto fare la Fed? Una banca centrale può contribuire direttamente alla buona dinamica dell’inflazione, ed indirettamente anche a quella delle variabili reali, definendo una regola di politica monetaria. Concretamente, la Yellen aveva due opzioni estreme, con tutte le possibilità intermedie. Da un lato, disegnare una regola di politica monetaria ultra aggressiva, magari modificando l’obiettivo inflazionistico alzando il target da 2 a 4, ovvero puntando i l livello dei prezzi – e di riflesso non intraprendere il percorso a singhiozzo di aumento dei tassi, iniziato nel dicembre 2015; una regola “da colomba”. Oppure la Fed avrebbe potuto adottare una regola monetaria conservatrice, abbassando magari il target inflazionistico da 2 a 0, ed avviando una normalizzazione dei tassi regolare e preannunziata, con l’idea che sono le scelte monetarie a guidare le aspettative, e non il contrario, coerentemente con una filosofia “da falco”. La Yellen è stata invece una colomba grigia: a scelto di non scegliere, e con lei la maggioranza del suo consiglio, di cui fa parte anche il neo presidente Powell. La Fed ha galleggiato nello status quo; l’analisi economica ci dice che il galleggiamento conviene ai banchieri centrali quando c’è tanta incertezza, oppure quando vogliono conservare il potere, temendo di sbagliare. Una ragione non esclude l’altra. Poiché però una banca centrale senza regole è più facilmente catturabile dai politici, se Powell rappresenterà una continuità con Yellen, quello che conterà davvero nei prossimi mesi è ciò che penserà Trump a proposito della condotta della politica monetaria, per non parlare della (de) regolamentazione finanziaria. Non è il massimo in termini di stabilità.
Il Sole 24 Ore – Donato Masciandaro – 14/12/2017 pg. 1.