L’editoriale del direttore Nico Perrone
ROMA – Una parata per il dittatore russo, Vladimir Putin, per confermare fiducia a lui e alla sua cricca che governa e sottomette 146 milioni di cittadini condannati a sentire le frottole a senso unico del regime. Fa impressione vedere decine di migliaia di giovani cadetti delle scuole militari, tirati a lustro per l’occasione, sfilare baldanzosi senza aver mai visto la parte diversa del fucile che mostravano fieri. Fa impressione vederli tutti puliti e lucidi, pensando alle decine e decine di migliaia di giovani soldati russi che in questo momento nel fango, costretti a rubare per mangiare, stanno massacrando innocenti cittadini ucraini e a loro volta vengono uccisi per una guerra ingiusta, voluta dall’autocrate russo solo per mantenersi al potere.
Fa impressione poi sentire Putin parlare di Ucraina nazista mentre sotto il palco le sue truppe marciano con il passo dell’oca, quello sì nazista. Comunque chi si aspettava l’annuncio dell’apocalisse è rimasto deluso, perché il Putin di oggi è passato alla storia non tanto per le stupidaggini che ormai spara a raffica e che purtroppo ritiene vere, quanto per quello che non ha detto: ci si aspettava che cantasse vittoria e non lo ha fatto; che minacciasse la guerra totale in Ucraina, e non lo ha fatto; che parlasse di bombe nucleari e non la ha fatto.
La novità è l’attacco frontale agli Stati Uniti, considerati una sorta di ricettacolo per ogni nefandezza. Putin ha accusato gli Usa di pensare solo alla loro esclusività, di aver umiliato il mondo e i propri Paesi satelliti che sono costretti a far finta di nulla e ad obbedire docilmente. La Russia, ha detto Putin “ha un altro carattere, non rinunceremo mai all’amore per la Patria, bla bla bla, alla fede e ai valori tradizionali, bla bla bla, alle usanze degli antenati… mentre in Occidente hanno deciso di abolire questi valori millenari“. Dietro, insomma, emerge la rabbia di non poter mettersi più al tavolo per decidere la spartizione e la sottomissione di popoli e nazioni.
Perché al di là delle chiacchiere di Putin e di chi in giro per l’Europa tifa per lui, il punto sta qui: è la Russia di Putin che ha invaso una nazione libera e democratica, con centinaia di migliaia di soldati mandati a distruggere tutto e tutti. Mentre gli ucraini si sono trovati a difendersi, chiedendo e ottenendo aiuto. Putin appartiene al passato, un vecchio arnese non in grado di capire che ogni popolo ha diritto all’autodeterminazione, a decidere se essere libero o schiavo, come il suo sodale bielorusso Lukashenko. Per questo noi europei facciamo bene ad aiutare l’Ucraina, perché lì si combatte per i nostri valori, perché lì il dittatore russo va fermato se non si vorranno altre invasioni in futuro.
Tra qualche ora il premier Mario Draghi incontrerà il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Draghi ha già detto, a chi lo ha attaccato in casa, che non c’è bisogno di smarcarsi da nessuno. Gli Usa sono i nostri principali alleati, migliaia e migliaia di loro giovani soldati sono morti sul nostro territorio per liberarci dal nazifascismo. Ma l’Italia sta in Europa e come hanno detto e fatto capire ancora oggi il presidente francese Emmanuel Macron e il premier tedesco Olaf Scholz, l’Europa ha una sua specificità, suoi interessi da salvaguardare.
Per questo Draghi, forte del suo carisma internazionale, potrebbe benissimo far emergere anche lì alla Casa Bianca la necessità che finalmente l’Europa diventi anche vera e unitaria forza politica che parla con una sola voce e, soprattutto, che pensa a garantire la sua difesa con un proprio esercito senza delegarla ad altri. Solo una Europa più forte potrà garantire sicurezza e prosperità a questa parte del mondo; solo la cultura millenaria dell’Europa potrà alla fine conquistare i cuori e le menti dei cittadini oggi costretti a subire il terrore dei dittatori.