I eri è stato il primo giorno di campagna elettorale. Una campagna incominciata all’insegna delle promesse, non delle riforme. I discorsi paralleli di Matteo Renzi a Firenze, e di Silvio Berlusconi a Milano, ne sono la plastica evidenza. Entrambi in sintonia con il Parlamento, dove la discussione della legge di Stabilità, la più importante legge dello Stato, si è trasformata in gioco del Monopoli nel quale ciascuno cerca di aggiudicarsi più risorse possibili per questo o quel capitolo di spesa. I partiti sembrano essere finiti in una bolla preoccupati solo di come spendere risorse che non ci sono. Quanto è accaduto ieri, sia i discorsi dei due leader, sia gli interventi nella commissione Bilancio del Senato, sembrava appartenere a un Paese diverso da quello reale.
I senatori, impegnati a rifinanziare il bonus neonati da 960 euro l’anno per tre anni, e a emendare la riforma Fornero, uno dei punti solidi del nostro bilancio. I due leader, illusi che basti qualche mancia per rendersi appetibili agli elettori. Berlusconi pensioni minime elevate a mille euro e un grande programma di agevolazioni per gli anziani, dalla tutela sanitaria gratuita all’Iva ridotta sul cibo per gli animali.
R enzi proponendo di estendere gli 80 euro a tutte le famiglie con figli e di introdurre il servizio civile obbligatorio. Intendiamoci, quattro-cinque anni fa, quando l’economia si contraeva al ritmo del 2,2% l’anno e la disoccupazione sfiorava il 13%, anche misure come queste servivano. Il problema allora era troppa poca spesa. Era la carenza di domanda che creava disoccupazione. Gli ottanta euro introdotti da Renzi nel 2014 hanno contribuito a far salire il pil dal -1,7 del 2013 al +1 del 2015. Aumentare la capacità di spesa delle famiglie era ciò che serviva, anche se si rischiava di violare le regole europee. Oggi però, un po’ grazie a quei provvedimenti, un po’ grazie alla ripresa nel mondo, la nostra economia ha ricominciato a crescere e la disoccupazione, lentamente, troppo lentamente fra i giovani, a scendere. Il problema oggi non è più la domanda ma l’offerta. Quest’anno cresciamo dell’1,5%, ma il potenziale della nostra economia è più basso: secondo il Fondo monetario internazionale un po’ sotto l’un per cento. Questa è oggi la priorità: riforme che ci consentano di crescere anche oltre il 2 per cento senza imballarsi. Come si fa a crescere se si insiste per andare in pensione a 65 anni quando a quell’età la speranza di vita è di 20,7 anni (19,1 gli uomini, 22,3 le donne) cinque mesi in più di quella del 2013 (dati Istat di un mese fa). Ciò di cui oggi c’è bisogno è riavviare i meccanismi inceppati di un Paese che (lo scriveva ieri Dario Di Vico) assedia i cittadini e le aziende con un Fisco che tiene aperti decine di milioni di contenziosi sotto i mille euro. Amministratori pubblici la cui unica preoccupazione pare essere quella di non rischiare guai, e se una decisione ritarda di anni, chi se ne importa. Giudici dei Tar e del Consiglio di Stato per i quali, come scriveva Luca Enriques sul Corriere dell’11 agosto, «il diritto non è strumento che serve gli individui e le loro formazioni sociali, per agevolarne le interazioni, ma un ordine superiore al quale la realtà economica deve piegarsi (…) Le ragioni dello sviluppo economico (…) non hanno alcuna influenza sul sistema di valori che, implicitamente o esplicitamente, è alla base delle loro sentenze». Blandire questa o quella categoria elargendo agevolazioni o confermando privilegi stratificati nel tempo, può essere utile a confermare il proprio consenso, di certo non ad allargarlo. L’area di astensione dal voto, che va ampliandosi, testimonia il grado di attenzione dei cittadini per una politica che quotidianamente ci chiede di fare i conti con inefficienze e burocrazia, mentre non riesce a capire che è in casa propria che deve guardare. In primis nell’amministrazione di Stato e Regioni che dovrebbe essere al fianco di chi intraprende o di chi è in difficoltà, non di chi è protetto da un sindacato forte. La giornata di ieri non è stata certo il modo migliore per avviarci a una lunga campagna elettorale che prepari la strada a un Parlamento pronto a fare in modo che il Paese recuperi il terreno perduto in questi anni. Non si tratta di sminuire quanto fatto sinora, né in termini di riforme né di risanamento. Quanto di indicare agli elettori perlomeno le priorità che si intendono perseguire affinché cittadini e imprese possano fare i loro conti.
I senatori, impegnati a rifinanziare il bonus neonati da 960 euro l’anno per tre anni, e a emendare la riforma Fornero, uno dei punti solidi del nostro bilancio. I due leader, illusi che basti qualche mancia per rendersi appetibili agli elettori. Berlusconi pensioni minime elevate a mille euro e un grande programma di agevolazioni per gli anziani, dalla tutela sanitaria gratuita all’Iva ridotta sul cibo per gli animali.
R enzi proponendo di estendere gli 80 euro a tutte le famiglie con figli e di introdurre il servizio civile obbligatorio. Intendiamoci, quattro-cinque anni fa, quando l’economia si contraeva al ritmo del 2,2% l’anno e la disoccupazione sfiorava il 13%, anche misure come queste servivano. Il problema allora era troppa poca spesa. Era la carenza di domanda che creava disoccupazione. Gli ottanta euro introdotti da Renzi nel 2014 hanno contribuito a far salire il pil dal -1,7 del 2013 al +1 del 2015. Aumentare la capacità di spesa delle famiglie era ciò che serviva, anche se si rischiava di violare le regole europee. Oggi però, un po’ grazie a quei provvedimenti, un po’ grazie alla ripresa nel mondo, la nostra economia ha ricominciato a crescere e la disoccupazione, lentamente, troppo lentamente fra i giovani, a scendere. Il problema oggi non è più la domanda ma l’offerta. Quest’anno cresciamo dell’1,5%, ma il potenziale della nostra economia è più basso: secondo il Fondo monetario internazionale un po’ sotto l’un per cento. Questa è oggi la priorità: riforme che ci consentano di crescere anche oltre il 2 per cento senza imballarsi. Come si fa a crescere se si insiste per andare in pensione a 65 anni quando a quell’età la speranza di vita è di 20,7 anni (19,1 gli uomini, 22,3 le donne) cinque mesi in più di quella del 2013 (dati Istat di un mese fa). Ciò di cui oggi c’è bisogno è riavviare i meccanismi inceppati di un Paese che (lo scriveva ieri Dario Di Vico) assedia i cittadini e le aziende con un Fisco che tiene aperti decine di milioni di contenziosi sotto i mille euro. Amministratori pubblici la cui unica preoccupazione pare essere quella di non rischiare guai, e se una decisione ritarda di anni, chi se ne importa. Giudici dei Tar e del Consiglio di Stato per i quali, come scriveva Luca Enriques sul Corriere dell’11 agosto, «il diritto non è strumento che serve gli individui e le loro formazioni sociali, per agevolarne le interazioni, ma un ordine superiore al quale la realtà economica deve piegarsi (…) Le ragioni dello sviluppo economico (…) non hanno alcuna influenza sul sistema di valori che, implicitamente o esplicitamente, è alla base delle loro sentenze». Blandire questa o quella categoria elargendo agevolazioni o confermando privilegi stratificati nel tempo, può essere utile a confermare il proprio consenso, di certo non ad allargarlo. L’area di astensione dal voto, che va ampliandosi, testimonia il grado di attenzione dei cittadini per una politica che quotidianamente ci chiede di fare i conti con inefficienze e burocrazia, mentre non riesce a capire che è in casa propria che deve guardare. In primis nell’amministrazione di Stato e Regioni che dovrebbe essere al fianco di chi intraprende o di chi è in difficoltà, non di chi è protetto da un sindacato forte. La giornata di ieri non è stata certo il modo migliore per avviarci a una lunga campagna elettorale che prepari la strada a un Parlamento pronto a fare in modo che il Paese recuperi il terreno perduto in questi anni. Non si tratta di sminuire quanto fatto sinora, né in termini di riforme né di risanamento. Quanto di indicare agli elettori perlomeno le priorità che si intendono perseguire affinché cittadini e imprese possano fare i loro conti.
Corriere della Sera – Francesco Giavazzi – 27/11/2017 pg. 1 ed. Nazionale.