Vite d’artista a confronto nel saggio di Gregorio Botta
di Melania Mazzucco
Possono due traiettorie divergenti rivelarsi parallele? È l’ipotesi concettuale attorno a cui orbita Pollock e Rothko — Il gesto e il respiro di Gregorio Botta, in uscita per Einaudi Stile libero nella collana VS, dedicata ai confronti/ raffronti fra personaggi letterari, musicisti, sistemi politici antagonisti. E antitetici, in ogni aspetto dell’arte e della vita, sono stati Pollock e Rothko, i due massimi pittori americani del XX secolo: nati entrambi sotto il segno di Saturno, ma opposti come Dioniso e Apollo, la velocità e la lentezza. Rothko (pseudonimo di Markus Rothkowitz) è un ebreo lettone, figlio di un colto farmacista, immigrato negli Stati Uniti a dieci anni, facondo, metodico, teorico, profeta di una pittura trascendentale fatta solo di colore (campione della “pittura tonale”); Pollock è un americano del Far West, figlio di un contadino erratico, bipolare, esplosivo, refrattario alla teoria e alla parola, pioniere del dripping e dell’action painting (campione della “pittura timbrica”). Approdano nella stessa città (New York), frequentano le stesse persone ed espongono perfino nelle stesse gallerie, ma si ignorano e compaiono insieme solo in una fotografia, pubblicata da Life nel 1951, che ritrae i 15 pittori detti “Irascibili” mentre protestano contro le scelte del Metropolitan Museum of Art. Essa figura nel volume (invece parco di immagini). Eppure, fili invisibili quasi li intessono l’uno all’altro. Botta li dipana tutti, a partire da un luogo altro, uno spazio inatteso, remoto nel tempo e nello spazio: il convento di san Marco di Firenze.
Là, nel XV secolo, per i frati che vi abitavano e per se stesso, il pittore e frate domenicano Beato Angelico ha dipinto — nella cella n. 3 e sul corridoio del piano superiore — due opere sbalorditive, che prefigurano gli esiti di entrambi. Nel primo affresco, fra l’Angelo e la Vergine, al centro dell’Annunciazione più radicale della storia dell’arte spicca una nuda parete bianca — perché la luce è epifania divina. Nel secondo, i quattro finti marmi sotto la Madonna delle ombre sono disseminati da una pioggia di gocce di colore.
Botta, già vicedirettore di questo giornale e tra gli ideatori di Robinson , è artista lui stesso (sue installazioni sono al Maxxi, al Madre, al Macro, al Musma e al Mart, oltre che nella stazione Vanvitelli della metropolitana di Napoli). Insegue l’immateriale attraverso la materia (cera, vetro, alabastro), per rivelarne il respiro invisibile. Usa pochissime forme e macchine elementari (il cerchio, la coppa, la leva), lavora sull’evanescenza — con l’acqua, il fumo, la luce. Scrive perciò di artisti da artista, e questa illuminazione interna conferisce al libro il riverbero che è il suo maggior pregio. Del resto, per secoli, prima del sequestro da parte dell’accademia, le biografie degli artisti e la descrizione/ spiegazione/interpretazione delle loro creazioni sono state prerogativa dei pittori. Che per questo hanno saputo appassionare intenditori e profani alle opere e agli artefici.
Così Botta può raccontare con l’affabilità del narratore ma senza indulgere al maledettismo le vite parallele dei due pittori: l’infanzia dominata dalle madri, l’assenza dei padri fantasmatici, il trasferimento dalla provincia americana a New York «dove accadono le cose», la giovinezza scombinata da ribelli, emarginati e irrequieti, gli inizi stenti, il talento riluttante a manifestarsi, i mentori generosi e inadeguati, le donne amate purché disposte ad annientarsi in loro, i rapporti scabrosi col mercato, la dipendenza dall’alcol. E commentare i loro capolavori, e non solo: solidale perché consapevole di quanto sia faticoso sbarazzarsi dell’influenza dei maestri e del contesto per conquistare la propria cifra, Botta li accompagna negli anni indecisi tra suggestioni surrealiste, impegno sociale, muralismo e arte popolare, fino all’agognato successo, che pagheranno entrambi con la vita (Pollock schiantato dalla consacrazione a “personaggio”; Rothko suicida, arreso al richiamo del “tragico”, che aveva esorcizzato nelle sue tele estatiche). E ricorda anche che furono avversati dai più, ma subito compresi dai grandi, come Mondrian, Duchamp e Morandi — e Scialoja (di Botta maestro e dedicatario del libro).
La “densità” di Pollock, l’accumulo dei segni sui quadri, il gesto furioso, sono estranei al Botta artista della trasparenza, dell’impalpabile e dell’illusione, quanto affini le contemplazioni cromatiche di Rothko, le sottrazioni, il moto ascensionale e il respiro vibrato dei suoi colori. E però il meccanismo del riflesso speculare funziona, portandolo ad amare e farci amare anche il primo. E forse la risposta alla domanda iniziale è proprio qui. È la pagina la superficie liberata dallo spazio/ tempo nella quale le traiettorie divergenti s’incontrano, come le parallele, all’infinito.