Alla fondazione Cini, che conserva il più grande archivio di stampe dell’architetto veneziano, va in scena il confronto tra le sue vedute romane e gli scatti di Gabriele Basilico. Una doppia ricerca sull’eternità
di Vera Mantengoli
Le celle 23, 24 e 25, dove un tempo dormivano i monaci benedettini del monastero dell’Isola di San Giorgio, ora sono blindate. Non basta un giro di chiave per entrare in quella che oggi è chiamata la Sala del Tesoro dell’attuale Fondazione Giorgio Cini, servono anni e anni di studio e guanti speciali. Qui dentro niente può essere toccato a mani nude perché quello che vi è custodito non ha prezzo. Un esempio sono i 24 dei 27 volumi dell’opera omnia di Giovanni Battista Piranesi, stampata per la prima volta dal figlio Francesco a Parigi tra il 1800 e il 1807, dal rilegatore e decoratore Tessier, in Rue de la Harpe. Gli ultimi tre volumi contenevano le stampe del primogenito e di altri incisori, ma a Vittorio Cini, imprenditore e collezionista con una biografia da romanzo, per costituire nel 1962 la Sala del Gabinetto dei disegni e delle Stampe, interessava il Piranesi battezzato nel 1720 a Venezia nella parrocchia di San Moisé, quello che si definiva “ architetto con l’inchiostro, la carta, l’acido”. A trecento anni dalla sua nascita la Fondazione Cini lo celebra con la mostra speciale Piranesi Roma Basilico, a cura di Luca Massimo Barbero, in programma fino al 23 novembre a Palazzo Cini, casa storica di Vittorio. All’ultimo piano dell’edificio di San Vio sono esposte le stampe di Piranesi accostate agli scatti del fotografo Gabriele Basilico che, su commissione della Cini, immortalò nella capitale gli stessi luoghi incisi dal veneziano. « Piranesi e Basilico sono entrambi architetti, ma hanno costruito in un altro modo » spiega Barbero « Entrambi si trovano a loro agio con le rovine, come dimostra la serie più famosa di Basilico, Beirut, mentre Piranesi realizza, a partire dalle rovine romane, dei capricci immaginati ma realistici, con il risultato che quello che Canaletto fa per Venezia, lui lo fa per Roma » .
Una prima mostra sui due architetti venne realizzata dalla Cini nel 2010, quando il fotografo era ancora in vita, mentre oggi la supervisione degli scatti, stampati nella stessa fucina milanese di Basilico, è stata seguita dalla moglie e photo editor Giovanna Calvenzi. Tra i dodici inediti le Terme di Traiano, la Piramide, l’Arco di Giano e una veduta del Colosseo. Il dialogo tra i due maestri è intenso, tanto che l’osservatore viene risucchiato in quello che Barbero chiama il flusso delle immagini, una dimensione possibile solo grazie all’arte che non viene imprigionata nella categoria del tempo.
L’originalità di questa esposizione inizia ben prima della mostra. Barbero, come un regista, costruisce un doppio percorso: intimo, ma nello stesso tempo pubblico. Nelle labirintiche calli della città non passano infatti inosservati i 600 manifesti con opere di Piranesi e Basilico, rompendo così i confini degli spazi museali. A Palazzo Cini invece sono esposte 51 opere totali: 25 stampe originali di Piranesi e 26 vedute di Roma di Basilico, suddivise per temi ( Archi, Piazze, Chiese, Rovine), con un focus sul Pantheon. Barbero ha fatto ricoprire alcune pareti di gigantografie color sughero con dettagli dei capolavori del Piranesi e una sala con decorazioni ispirate all’opera dell’architetto incisore sui camini. L’effetto immediato è quello di ritrovarsi dentro a un’incisione in scala uno a uno, diventando sia osservatore che protagonista dinamico. « Il digitale è solo un mezzo perché la forza sta nell’immagine ed è quella forza che si sente per strada sprigionata da quei manifesti che dimostrano come Piranesi sia ormai nell’immaginario collettivo » spiega Barbero. « Nella sala del caminetto ho voluto esasperare la stanza del collezionista, come se la zona notte di Cini fosse decorata da Piranesi, parte della sua collezione, e dagli scatti di Basilico, commissionati dalla Cini, chiudendo così un cerchio » . Il collegamento tra il dentro e il fuori continua a fine mostra quando, per uscire, si scende dalla scala elicoidale di Tomaso Buzzi provando la sensazione di essere trasportati in un capriccio del Piranesi.
Quella di Venezia è la più grande collezione di stampe dell’architetto veneziano esistente: ammonta a quasi un migliaio di disegni, periodicamente in parte prestati come la serie delle Carceri in mostra in contemporanea al Museo Civico di Bassano del Grappa. La storia di come la collezione sia arrivata in mano a Vittorio Cini è curiosa. Negli annuali è infatti riportato l’acquisto della Collezione Piranesi nel 1962, ma niente di più. Tuttavia, nel contropiatto anteriore dei volumi che custodivano i disegni c’è un timbro molto particolare, che riproduce una celebre incisione di Baccio Bandinelli: un uomo molto anziano che si aggrappa a un girello su cui è appoggiata una clessidra. Nella parte superiore un nastro con scritto “ Anchora Inparo” e in quella inferiore “ Ex Libris di Comm. re G. Fumach”. Gregorio Fumach, sarto della Regina Margherita e titolare della sartoria milanese Fumach Medaglia, scelse questa immagine che simboleggia la sete di conoscenza che non risente del tempo, né si esaurisce con il tempo. Questo dettaglio ha aiutato il responsabile scientifico delle collezioni d’arte della Fondazione Cini, Alessandro Martoni ad approfondire il contesto dell’acquisto. Fumach aderì all’associazione Cento amici del libro, fondata a Firenze nel 1939 da Tammaro De Marinis, uno dei consiglieri più fidati di Cini. Fu così che, con molte probabilità, Piranesi tornò nella sua città natale dove tutto ebbe inizio, tre secoli fa.