di Enrico Franceschini
Uno spettro invisibile si aggira per l’Europa, ma in questo caso non è il Covid: è la guerra santa contro l’Occidente. La scia di attentati islamici che da un mese sconvolge la Francia conferma la dinamica di una Jihad che contagia lupi solitari spingendoli all’azione. L’accoltellatore di ieri a Nizza è un tunisino arrivato in settembre a Lampedusa: il virus del terrore entra anche dal mare. Non era schedato, ha fatto la quarantena prevista per la pandemia, quindi è sbarcato a Bari e ha raggiunto clandestinamente la Costa Azzurra. Le indagini chiariranno se avesse mandanti o complici. Non c’è bisogno di un network operativo, tuttavia, per guidare decapitazioni e coltellate: basta l’ideologia.
Sconfitta sul campo di battaglia in Siria, la visione estremista, intollerante e feroce predicata dall’Isis rialza la testa in casa nostra. Una minaccia sempre più difficile da prevenire ed estirpare, perché non ha una radice etnica o geografica precisa, bensì riflette quella che ormai si può definire l’internazionale del terrorismo.
Aperto dall’attacco all’America dell’11 settembre 2001, il ventunesimo secolo ha dovuto fare i conti in una prima fase con jihadisti principalmente mediorientali o nordafricani. La novità è che ora provengono dall’intera galassia del fondamentalismo musulmano. A perpetrare gli ultimi attentati in Francia sono stati terroristi pakistani, ceceni e magrebini. Nell’ultimo decennio in Gran Bretagna la lista è ancora più lunga: Sri Lanka, Pakistan, Afghanistan, Somalia, Sudan, Iraq, Marocco, Libia e Kenya sono tra i Paesi di origine degli attentatori. In alcune occasioni possono esserci corresponsabili, come nel recente attacco contro l’insegnante alla periferia di Parigi. Ma non è necessaria una rete di coordinamento, come ai tempi di Al Qaeda. Sono sufficienti le incitazioni all’odio religioso. La fatwa contro gli occidentali.
Per l’ideologia della guerra santa islamica, in Occidente esistono due nemici su tutti: il Vaticano, simbolo della cristianità, e la Francia, icona del laicismo. Agli occhi della Jihad, due facce della stessa medaglia. In questo momento il presidente francese Macron incarna entrambe, descritto come il leader di una crociata contro l’Islam che ne fa il bersaglio di invettive e proteste che vanno dal Gran Muftì di Gerusalemme al primo ministro pakistano Imran Khan, dal Bangladesh all’Iran, con in primo piano la Turchia di Recep Erdogan, aspirante al ruolo di nuovo sultano del Vicino Oriente. È questo coro a fare da ispiratore dei tagliatori di teste che inneggiano ad Allah. Individuarli uno ad uno è praticamente impossibile. Per fermarli servirebbe abbattere l’ideologia che li alimenta, come avverte un vecchio detto della politica americana: “Se vuoi liberarti delle zanzare, prosciuga la palude”. Il problema è in che modo prosciugarla. Dalle moschee e dai centri di potere dell’Islam dovrebbero giungere accorate denunce di chi uccide nel nome di Maometto. Beninteso, l’Arabia Saudita ha condannato la pubblicazione delle vignette “blasfeme” senza esortare a vendette e il governo di Ankara è stato lesto a esecrare l’accoltellamento nella chiesa di Nizza. Eppure il presidente turco non capisce, o non vuole capire, e molti musulmani insieme a lui, che Macron non decide la copertina di Charlie Hebdo. «Opporsi agli attacchi contro il nostro profeta Maometto è una questione d’onore», afferma Erdogan. Ma per l’Occidente difendere la libertà d’espressione è una questione vitale. “ Liberté, égalité, fraternité”,
il motto della Rivoluzione francese, rimane il vaccino per sopprimere lo spettro del terrorismo.